IT'S COFFEE- BREAK'S TIME

MODERNITY 2.0: ATTO PRIMO.....

E' iniziata oggi ad urbino la conferenza dei socio-cibernetici del mondo (scientifico, ovviamente). Della serie: cibernetici del mondo...unitevi!!!!. Rapida introduzione prof-orma di Valli e del magnifico rettore (molto pro forma). Estenuante quanto interessante speech di Giuseppe O. Longo sull'osservazione di secondo ordine e la metafora organica (suo noto pezzo forte all'interno della comunità). Bella sessione di domande, con botta e riposta che Longo ha dimostrato di sostenere con grande padronanza dell'inglese (non lo sapevo). Vediamo cosa ci riserverà la sessione pomeridiana. L'affluenza e la voglia di partecipare dimostrata durante le discussioni rivelano un clima perfetto per un confronto costruttivo su un tema ancora giovane, e suscettibile di numerose (forse molteplici) impostazioni teoriche, tutte valide, tutte necessarie...A più tardi allora...see you soon...

fonte: "http://www.uniurb.it"

Elezione del Rettore dell’Università.

RISULTATI ELETTORALI


Candidato voti pesati percentuale


Mauro Magnani 296,30 =  35,23%

Stefano Pivato 534,74   =  63,58%


Schede bianche

Bianche 6,35 0,76%

Schede Nulle 3,61 0,43%

Totale voti espressi 841,00 100,00%

Maggioranza assoluta 421


Risulta eletto il Prof. Stefano Pivato

ELETTO IL GRAN KUBILAI PIVATO. E GLI STUDENTELLI?

Tra una puntata triste di "Anno zero" (pare che nelle ultime puntate Santoro stia facendo di tutto per farsi odiare) con un Marco Pannella praticamente in fin di vita, più acido di quando partecipava alle estenuanti dirette di Radio Radicale ai congressi dell'Internazionale radicale di Belgrado, riflettevo sul significato delle elezioni rettorali (da non confondere con le "rettali", mi raccomando) da almeno due punti di vista:
1) Il sistema elettorale. Professori, rappresentanti degli studenti, personale tecnico-amministrativo. Fin qui niente di male, più o meno. Tuttavia, è negato il diritto al voto a tutte le figure precarie (ricercatori, assistenti, membri del personale tecnico-amministrativo). Ciò a dimostrazione della profonda arretratezza del sistema universitario, ancora legato ad una gestione di tipo tradizionale che non tiene conto dei mutamenti occorsi non solo dal punto di vista legislativo (per quanto riguarda l'evoluzione normativa in materia a livello europeo),ma, anche nella gestione dei rapporti di lavoro in un mercato in cui è proprio il precariato a farle da padrona. Preistoria. 
2) L'atteggiamento degli studenti urbinati nei confronti dell'elezione del nuovo rettore (in ispecie, di tutti quegli studenti, più o meno datati, che si erano battuti con grande energia per la statalizzazione dell'ateneo). Me lo aspettavo. Ne avevo già avuto dei segnali premonitori:
1) Smarrimento dell'Onda studentesca divenuta, dopo poco, una semplice "maretta studentesca" facilmente gestita dal governo (eppure ho anche preso parte a delle mega discussioni-pippone sul significato "politico o non politico" della protesta. Quest'inverno ero ancora sciocco o, forse, sarà stato il freddo!). 
2) Elezioni universitarie. Non ho visto comizi o discussioni, on line o off line. Eppure gli studenti dovrebbero sviluppare idee di gestione della propria campagna elettorale con maggiore genialità. Cazzo: siamo pur sempre studenti. Invece, i candidati rettori (forse spinti dalla disperata ricerca del voto, forse no) hanno mostrato maggiore versatilità nella gestione delle interazioni pre-elettorali. Un plauso a loro, un'altra nota di demerito a noi giovani d'oggi.
3) Ho visto qualche studente al comizio di Corbucci per le amministrative che decideranno del destino del comune di Urbino. Grande sommossa popolare per le famose ordinanze amministrative "anti giovedi sera". Grandi proteste (virtuali, mai di piazza!!!). Poi, al primo comizio pubblico di Corbucci (attuale sindaco del bel paesello) non c'era traccia di studente- contestatore. Niente. Il deserto delle opposizioni (potrebbe essere il titolo di un libro, no?).
4) Le elezioni per il candidato Rettore. Tra qualche promessa agli "introdotti" del movimento studentesco (gli anziani avviati, ormai, alla carriera politica), e qualche colpo basso tra i candidati (quanti sanno che oggi, per la prima volta, c'è una vera competizione che non sia tra Carlo Bo e Bo Carlo?), gli studenti se ne sono altamente fottuti come direbbe Pannella per commentare l'operato del governo. Silenzio, nessuna pretesa di conoscere i programmi, nessuna promessa strappata con la forza della protesta, dell'opposizione costante e motivata. Anche in quest'occasione niente. Ah, ecco, ora ritrovo la spiegazione di questo punto: l'imperdibile torneo di calcio interfacoltà. A posteriori si dirà che è stata una trovata del "prorettore deluso e sconfitto" Magnani per distrarre la componente studentesca da un voto che egli sapeva contrario. Ci siamo cascati anche stavolta.... 

INCHINIAMOCI TUTTI AL SULTANO SILVIO.......

Altro momento di tristezza (sembra costruito ad arte): lasciando, nel tardo pomeriggio, la terribile conferenza del PD con il famoso quanto inutile David Sassoli, mi sono ritrovato a cena con alcuni amici e, dando un occhio a Ballarò (appuntamento immancabile del martedì sera, ma anche no!) ho cercato, con l'aiuto degli altri presenti, di portare il conto di quanto tempo si fosse parlato della questione Lario/Berlusconi. E' bene sottolineare che il parter era degno di una trasmissione politica di alto rango: Franceschini, Rossella, un filosofo ed un giuslavorista dell'università di Bologna. Insomma, dei bei personaggi. Eppure, tutti (compreso il povero Floris che, magari, ha solo fiutato il cambiamento di vento) sono cascati nel tranello che ha tenuto sotto scacco per almeno tre giorni di fila tutta la stampa ed i media: nazionali ed internazionali. A testimonianza ulteriore, se ce ne fosse ancora bisogno di ribadirlo, che il Silvio nazionale riesce sempre a far parlare di sè, storto e pure morto. Incredibile. Ma come si fa a non capire che ci sguazza in queste discussioni, polemiche e retro-polemiche corredate da moviole trasmesse in Tv, rimbalzate alla radio e stampate sui principali quotidiani nazionali. Sono convinto che, alla lettura del mio post, godrebbe come un matto. E' questo ciò che vuole. Far parlare di sè, autorizzando un invasione di campo in una vita privata che non è altro che una finta vita costruita ad hoc per i media piglia-tutto e, soprattutto, acchiappa-scandali e scandalucci, proprio come questo. Distogliere l'attenzione dalla realtà che conta (guerre, tragedie. Dico io: prima va in Abruzzo a piangare, poi, fa pubblicamente piangere la moglie occultando la tragedia de l'Aquila. Questa è o non è una grande, una delle tante, contraddizioni di Mr President??). Deviare lo sguardo sempre su di sè o su ciò che, storto e morto, lo riguarda. Vorrà armare una troupe di Mediaset al suo funerale. Così, giusto per potersi rivedere nell'al di là, in alta (altissima) definizione. D'altra parte, e a parte scherzi, mi spaventa come ogni suo tentativo di dettare l'agenda dei media giunga sempre a buon fine. E' come se un italiano piuttosto potente riesca a divenire talmente tanto coccolato dagli altri poteri da essere divinizzato ed amplificato anche quando, e Dio mi perdoni, non dovesse riuscire per un giorno a defecare con regolarità. Sono convinto che per dare ulteriore prova della sua santità (gli scettici abbondano sempre), tra poco, farà anche qualcosa di simile. In parte, col tema della defecazione ci ha già avuto a che fare. Proprio di recente. Basti leggere qualche sua dichiarazione riportata da giornali radio e Tv sulle famose "quote rosa", pietra dello scandalo a posteriori (per rimanere in tema) tra il Berlusconi tutto solo e nero e l'aggraziata donna (che, forse, non merita) Lario. A chi non bastasse, rimando ai vari interventi pubblici come quello in occasione del convegno della Coldiretti (tenuto non ricordo dove) dove, dal palco, apre il monologo con: "Vi chiedo subito scusa se non vi ho portato le  veline (risate)"... E si, perchè non tutti sanno che lo psico-nano ha, di recente, avviato una vera e propria campagna di casting della nuova classe dirigente del PDL. Ovviamente, corsia preferenziale per le gnocche con un briciolo di cervello. Ed è stato questo fatto a suscitare l'odio femminista della Lario che, in ogni caso, conoscendo un pò lo spirito del marito, poteva svegliarsi ben prima. Al grande Silvio, tuttavia, va dato atto di una cosa: l'aver cercato, in maniera discutibilmente trasparente, di avviare una vera e propria campagna di costruzione di una classe dirigente giovane, fresca. Certo, forse troppo fresca e priva di materia grigia con tutto ciò che ne comporta. Con risultati anche tristi (a destra come a sinistra, di fatto). Ma, l'aver intuito la necessità di dare spazio ai giovani per recuperare un pò di credibilità è stata ed è un intuizione di cui gli va dato merito e di cui la sinistra, come in tutte le cose, tarda a capirne il valore, prezioso. Al di là, dunque, dei risultati e delle faccie (o dei culi) da schiaffi (o mano morte!), Silvio ci ha di nuovo visto lungo. Dunque, ancora un plauso consapevole ed arreso al nostro presidente del coniglio nel cilindro.......

IL LUNGO LETARGO RABBIOSO DELLA POLITICA

Torno a bomba fresco di arrabbiatura del primo pomeriggio. Per cause ancora tutte da chiarire mi ritrovo, verso le 15,30, in piazza, con un freddo d'altra (alta!!) stagione, in compagnia del mio fedele braccio destro di conversazioni acide ed irriverenti Dario, ad assistere ad un melodrammatico incontro tra il candidato alle europee David Sassoli, per la circoscrizione "centro", Neri Marcorè, il candidato sindaco uscente per il comune di Urbino Franco Corbucci, un tipo col collo ingessato che si presentava come lo storico presidente della provincia di Pesaro e Urbino, o meglio,di PUh per gli amanti delle targhe. Ebbene, tutti sorridenti. Strette di mano e conversazioni segrete al cellulare che ricordano un Berlusconi non molto lontano. Insomma, tutto si risolve dopo poco più di mezz'ora ed ho immediatamente l'impressione di non ricordare nulla di quell'incontro eppure così vicino nel tempo. Subito ne capisco il perchè: non si è detto un beneamato cazzo. Sassoli ha troneggiato con la sua bella invettiva preconfezionata contro Berlusconi, le vallette irriverenti e Veronica Lario, senza un minimo barlume di programma elettorale. Ha perso praticamente tutto il tempo a sua disposizione tra uno sputo in faccia alla destra ed una sotto specie di frase ricorrente tipo leitmotiv musicale messa lì, ogni due o tre frasi, a mò di parafulmine (o parascandalo, cognome diffuso dalle mie): "no è che mi ritrovo da poco in un ambiente del tutto nuovo per me dal momento che la mia campagna elettorale è partita circa dieci giorni fa...(citazione non testuale)". Che tristezza. Ma il campione assoluto di depressione a ostacoli è stato il sindaco uscente (i più lo danno travolto dalla valanga di voti anti-PD) che ha tenuto una colossale filippica sulla necessità di tener saldo il rapporto tra istituzioni e comunità locale. Fanno eccezione alle sue parole due, piccole, cose: 1)in tutto il discorso non ha mai fatto riferimento ne agli studenti ne alla necessità di rinfrescare l'immagine dell'Università nel mondo; 2) è stato proprio lui al centro della contestazione recente da parte dei commercianti a causa delle famose ordinanze comunali anti-giovedi universitario ( poi osa venire in piazza a parlare della necessità di "fare sistema" quando a lui piacerebbe fare sistema solo tra sè ed i suoi elettori ottusi)....Per favore. Ci mancava l'insegna sotto le bottigliette d'acqua: "FIERA DELLE BAGGIANATE".
La mia tristezza diventa inarrestabile quando, d'improvviso, vedo un cenno di luce sulla crapa pelada di Corbucci. Non è il sole, ma, la bella e giovane presenza del neo candidato alla provincia di Pesaro per il PD. Un ragazzo molto in gamba, giustamente emozionato di fronte ai quadri locali del partito che, sfruttando il poco tempo a sua disposizione, è stato l'unico a ricostruire con grande onestà il quadro attuale della città universitaria e della piccola e media impresa devastata dalla crisi economica. Un bel personaggio in cui, a differenza degli altri, ho visto finalmente gli occhi della passione e della voglia autentica di recuperare la fiducia degli elettori storici del centro-sinistra, oggi, profondamente delusi ed affondati nella loro stessa delusione. Comunque, come sempre, me ne torno a casa e nel cuore, purtroppo, non mi si accende niente. Purtroppo...

BLOGGER DISSIDENTI E FUTURO DELLA POLITICA.....

Riflettevo fino a poco fa sulle potenzialità dei social network..Lo spunto di riflessione, in modo particolare, mi è giunto dalla notizia, pubblicata dalla stampa all'incirca giovedì scorso, della serie a catena di morti misteriose di blogger e dissidenti in Iran. (Tra l'altro, facendo una ricerca veloce di articoli con immagine e/o di sole immagini dei blogger morti in carcere ho davvero fatto fatica a trovare qualcosa, suggestione!). Ho scoperto, in merito all'argomento, che un semplice dissidenti politico rischia, sempre in Iran, all'incirca cinque anni di carcere. Mentre un blogger che attacca la legittimità e/o offende uno stato militar-religioso come quello Iraniano (insulti indirizzati ai leader politici e religiosi, ingiurie, alterazioni di dichiarazioni) rischia, come minimo, due anni di carcere. E' incredibile, pensavo, come uno strumento dall'uso naturale, spesso associato a momenti di svago, di libera informazione, possa assumere a seconda dei contesti d'uso, i significati più diversi. Oggi riscopro che, non solo il medium è il messaggio, ma, il contesto socio-culturale del suo uso ne determina inequivocabilmente la sua stessa vocazione d'uso, il suo preciso senso. Mettiamo l'Italia. Quì i blogs, come fenomeno emergente, nascono per fare informazione, creare discussione attorno a temi poco trattati dall'agenda dei media main stream (dalla bontà della mozzarella di bufala campana DOP, agli organismi geneticamente modificati). A livello "local", si pensi ai blogs che denunciano le inefficienze di un amministrazione pubblica (un comune, una provincia, una regione). Tuttavia esistono nel nostro paese (forse sono la maggioranza) blogs che discutono di minchiate, di cazzeggiatori/smanettoni professionisti e, spesso, sviluppano contenuti estremamente individuali che, di fatto, avvicinano il blog a qualcosa di molto simile ad un diario virtuale, fortemente connotato. Dall'altra parte del mondo (praticamente), penso alla Cina, all'Arabia Saudita, all'Iran e ai tanti regimi che non hanno potuto evitare l'ingresso di internet e di tutte le sue applicazioni più recenti. Da lì in poi i movimenti di opposizione hanno avuto, forse per la prima volta nella loro storia, la possibilità di baypassare il filtraggio istituzionale delle loro comunicazioni, divenendo noti immediatamente all'esterno. Incredibile. Movimenti che sono praticamente rinati in rete, hanno creato supporters provenienti da paesi esteri. Attraverso una vera e propria comunicazione virale sono riusciti a portare le loro cause fuori dai confini nazionali. Se un governo, come avviene in Arabia Saudita, vieta le manifestazioni pubbliche, un gruppo di dissidenti crea un gruppo su facebook e, sfruttando il meccanismo dei flash mobs, crea eventi, indice campagne on line, manifesta tutto il suo odio nei confronti di un regime dispotico e liberticida sfruttando proprio quelle applicazioni che, nella nostra realtà, di fatto, aggiungono molto,ma, molto poco di veramente significativo (molti usano Fb per re-union tra compagni del liceo, per trovare l'anima gemella o chiacchierare con la propria rete di amici più o meno distanti). Parliamo di un uso opzionale delle nuove tecnologie e di un uso, in alcune realtà, che si è riscoperto essere vitale e qualcosa di più che semplicemente originale. Potremmo pensare che in un futuro non molto lontano possano avvenire colpi di stato organizzati interamente in rete, tramite gruppi di chat ad accesso su invito. Veri e propri forum di discussione che si trasformano in parlamenti virtuali. Elezioni on line a seguito di discussioni tematiche. Ne scaturirebbe una opposizione ed una maggioranza completamente auto-costituiti sulla base di mancanze reali colmate da strumenti multimediali. Altro che loisir, tra poco le esperienze dei paesi in cui queste tecnologie rivestono una forte connotazione politica potrebbero esserci di grande aiuto nel predire anche il futuro della nostra politica. 
Al-Quaeda docet....

BRUNETTA AFFONDA L'ONDA.....MA ANCHE NO......

Come studente resto incredulo di fronte alle dichiarazioni di Brunetta dopo la manifestazione di Roma. Parole che nemmeno un ministro francese (forse in quel contesto sarebbe parso più sensato) si è mai sognato e, credo, mai si sognerebbe di dire. Terroristi, guerriglieri..Tuttavia, non mi colpisce tanto la gravità della dichiarazione in sè, quanto, la dimostrazione (attraverso l'uso di un certo tipo di dialettica mutuata dal suo creatore originale, Silvio Berlusoni) di un totale scollamento di certa politica rispetto agli eventi (e ai movimenti) che caratterizzano la società. Movimenti ed eventi tanto più sensati se concepiti in risposta ad una legge e, più in generale, ad un processo che tende a distruggere il sistema culturale incentrato sulle università, con buona pace dell'attuale classe dirigente, di destra e di sinistra. E' un diritto assoluto quello di scioperare e, in generale, di criticare. Ed è un diritto rivendicare il dovere dello Stato a garantire una riforma del sistema dell'istruzione che valorizzi le competenze, gli individui, attraverso percorsi di studio sensati, strutturati e con incentivi a ricerca e innovazione. Ma come si fa a non capire che tutto ciò scrive il destino di una generazione che, in teoria, dovrebbe produrre la futura classe dirigente, quella che dovrebbe governare il paese tra dieci, quindici anni. Poi ci si lamenta dell'allontamento dei giovani dalla politica, della caduta verticale dei giovani lettori di quotidiani, della scarsa attitudine all'informazione, alla conoscenza, delle ancor più basse attitudini all'apprendimento, sempre più spezzettato e re-impastato. Allora dico che Brunetta ha sfortunatamente fatto un buco nell'acqua, compiendo un sostanziale errore. Si, ma, di sopravvalutazione. Magari si fosse creato un movimento di contrasto a questo stato degno del nome che porta. Una massa informe, animata da un progetto di società diverso, equo. Capace di un'azione di contrasto continua, incisiva. Guardo all'estero con grande amarezza ed una punta di nostalgia. In Francia, sono riusciti a compattarsi in un solido movimento studenti, sigle sindacali, docenti universitari, lavoratori precari e non, società civile. Quì, al primo ritorno di fiamma con la manifestazione di Roma, il sindacato più vicino agli interessi delle generazioni più giovani, la CGIL, sigla col comune un accordo per circoscrivere la manifestazione alla sola cittadella universitaria. Magari è giusto. Se si parla sempre dei soliti due, trecento studenti o, in ogni caso, della solita minoranza trascinante, ideologizzata, magari già inquadrata in un partito, non è possibile congestionare la città di un gruppetto con aspirazioni di movimento transnazionale. E lo dico con rammarico, con tristezza profonda. Mi fanno tristezza quei due-trecento così come mi fanno tristezza i quattro-cinquecento di Urbino e via discorrendo. Le motivazioni per protestare ci sono e sono forti. La voglia di manifestare, i numeri, quelli sono preoccupantemente bassi. Proprio oggi, ai minimi storici dell'attivismo. Forse manchiamo di idee. Forse non troviamo interlocutori (provabile). Forse non crediamo davvero in ciò per cui scendiamo in piazza. Allora, non stiamo parlando più di un difetto generazionale o di generazione difettata. Entriamo nell'individualità, nella coscienza contaminata dalla Storia della nostra società. Ci portiamo dietro l'apertura al liberismo e la crisi dei mercati, la psicoterapia e l'abuso di farmaci, l'aumento dei divorzi. L'instabilità delle relazioni umane e dei rapporti di lavoro. Siamo nati nel pieno della transizione. Siamo instabili e fuggevoli per natura. E la natura ci condanna ad un rumorosissimo silenzio proprio quando avremmo ragione e diritto (forse anche il dovere) di alzare la voce. Allora rispondo a Brunetta così: "Grazie per i "guerriglieri" (o cos'altro abbia detto). Sono, a nome della mia generazione, profondamente lusingato,ma, non posso accettare. E' troppo per me".  

GIORNALISMO CREDIBILE.....DI CHI?

Si sta tenendo da lunedì ad Urbino un convegno sul giornalismo e sulle sue chance evolutive. Hanno preso la parola giornalisti, professionisti e in erba, sociologi ed istituzioni.Ma, soprattutto, hanno parlato ed assistito i giovani giornalisti delle scuole di formazione promosse, garantite e tutelate dall'Ordine. Nel pomeriggio di oggi, in modo particolare, hanno preso la parola questi giovani giornalisti in erba, speranza per il futuro e croce per l'avvenire della democrazia informativa. E' stato eccitante prendere parte il  dibattito che ha visto, da una parte, schierati alcuni giornalisti, giovani e non, strenuii difensori dei criteri (o categorie assolute) del pensiero e dell'arte giornalistica. Questi hanno parlato di verità, credibilità, attendibilità della fonte e professionismo radicato. Si è arrivati, persino, a citare Galileo ed i principi dell'osservazione scientifica. Tutto a difesa strenua di sè, dei propri investimenti e delle proprie speranze. Contro i blog e le nuove tecnologie che di fatto (e non è più solo una prospettiva futuribile) stanno minando alle basi i sistemi istituzionali di produzione giornalistica. Sono rimasto scioccato. Non credevo che le scuole promosse dall'Ordine indottrinassero fino a questo punto....

RICETTE DI COSCIENZA PER UNA (NON)GENERAZIONE

E' vero. Ad Urbino si è anche parlato di generazioni. Movimenti e generazioni. Ne ha parlato Ilvo Diamanti, direi bene, con diplomazia da accademico. Mi è piaciuto. Mi hanno molto interessato le ricostruzioni, biografiche e non, delle generazioni che ci hanno anticipato, precorrendo, in parte, molte delle esperienze che riteniamo ingenuamente attuali, uniche. Dalla generazione delle due guerre, ai rivoltosi sessantottini, croce e delizia per le generazioni a venire. Mi è piaciuta la disamina. Puntuale e severa. Soprattutto nella descrizione del panorama attuale, del suo punto di vista sulla nostra generazione (a cavallo tra la x e la y per intenderci). Precarietà, incertezza. Queste le parole d'ordine, le uniche trovate ed adatte a descrivere ciò che sembriamo visti da fuori, al di là delle differenze che ci rendono, in ogni modo ed al di là del tempo, unici. Se devo essere onesto, mi sono meno piaciute le domande che sono state indirizzate all'emerito Diamanti. Ma..voi avevate coscienza di essere un movimento, nel 68'?...Vi eravate posti un obiettivo?Sapevate dove andare? Cos'è che vi aggregava? Come avete fatto, nel 68'?..Ma stiamo scherzando..Come se Diamanti dovesse tirar fuori dalle tasche la ricetta per la costruzione di un buon movimento, duraturo ed inattaccabile. E, poi, basta con questi raffronti col 1968. Le coscienze erano diverse, l'esasperazione al limite, il benessere diffuso ai minimi. C'erano altri genitori, un'altra chiesa e, soprattutto, un'altra università, un'altra scuola, un'altra educazione. Oggi non siamo nemmeno educati al movimento, al gruppo, al partito, ai dirigenti, ai tesserati. Forse quelle cose sarebbero inattuali ed inattuabili, oggi. Ma sono state quelle infrastrutture della società a formare coscienze davvero critiche ed una grossa e forte coscienza d'insieme, di classe, di movimento. Oggi ci manca, tra le tante, la base, la materia prima: la consapevolezza di appartenere stabilmente a qualcosa. Alla generazione, al gruppo, alla famiglia, quindi, al movimento. Ci muoviamo come se trasponessimo la nostra vita online in dinamiche reali, relazionali. Siamo "border line" tra l'on line e l'off line. Ci aggreghiamo più o meno intensamente attorno a gruppi tematici ( il gruppo anti-Gelmini e, ancora prima, il gruppo anti-Moratti, anno zero dell' "Onda studentesca") più o meno stabili. Poi, dopo un , quando le ragioni storiche, sociali, commerciali rendono le ragioni di quel gruppo inattuali,scarsamente innovative e poco rivoluzionarie. Allora ecco che il gruppo si sfalda, le ragioni vengono meno, l'emotività lascia il posto alla ragione...E da lì, si cercano altri gruppi, se ne vivono di più contemporaneamente..Si fa molta vita di relazione, oggi..Ma molta vita di relazione significa poca stabilità relazionale,oggi..Per cui, a mio modo di vedere, avremmo dovuto imparare ad essere prima una generazione che, per quanto instabile ed individualista, ha delle tragicità aggreganti. Poi, dopo e con coscienza, avremmo potuto cercare all'esterno (nell'università, nella società) spazio e tempo per farci sentire, per chiedere anche sostegno alle nostre cause. A cause, battaglie autenticamente nostre. Non quando ci pare o, peggio, quando lo impone l'agenda di altri,lontani incoscienti nel senso letterale del termine.
Chiedere le ricette a Diamanti per reversibilizzare un paradosso oramai conclamato mi sembra un paradosso nel paradosso o, se vi piace di più, una grande idiozia.

Incontro a due voci ad Urbino. Antonio Albanese/Ilvo Diamanti.Maestro di vita e d'arte/Cattivo maestro..

Simpatico ed informale l'happening di ieri pomeriggio con Diamanti e Antonio Albanese (che personalmente seguo dai tempi del tifoso foggiano Frengo fino al ministro della Paura..un mito assoluto)..Si, perchè proprio di happening, appuntamento rilassato, possiamo parlare. Rilassati, forse un pò troppo, anche i due convitati d'obbligo (di vero obbligo): il rettore uscente e il preside di facoltà che, come lui, giorno dopo giorno, si assottiglia quasi alla ricerca naturale di un'intrasparenza che la sua gestione contribuiscono ad alimentare. Due grandi personaggi, direi necessari per dare un tocco di formalità che, non capisco come e perchè, debba sempre entrare, a volte invadendo il campo di eventi che sarebbero certamente belli e ricchi di contenuti anche senza la loro partecipazione..Magari guadagnerebbero la partecipazione ed il plauso di coloro che, proprio data la presenza di Mimi e Cocò ( o Cric e Croc, tanto per citare il Diamanti battutista mancato), per principio, se ne tengono accuratamente alla larga..Entrambi saranno, in ogni caso e fortunatamente, ricordati per ben altro che le loro partecipazioni rituali ad eventi di cui, mi sento di dirlo con un buon grado di libertà ed onestà intellettuale, se ne fottono altamente...Mentre i due mancati comici del varietà antropologico urbinate si menavano il can per l'aere, Diamanti e Albanese hanno dato vita ad una vera e propria lezione di filosofia, filosofia del vivere. Ho scoperto un uomo più che un comico. Trasparente, modesto. Completamente il contrario di ciò che si aspetterebbe da un caratterista di lungo corso come lui. Ci ha portato con delicatezza, a volte commuovendo, a volte con sorriso, nella vita pura e dura di un uomo del sud, emigrato, ricco di idee e povero di possibilità. Un uomo che da quell'indigenza ha imparato a campare, ad arrangiarsi, a non legarsi alla materialità delle cose, scendendo al di sotto della superficie patinata delle cose. Una personalità profonda, una mente acuta, uno sguardo da sociologo. In fondo, un pò tutti gli artisti, soprattutto coloro che fanno teatro, sono dei sociologi, studiosi di casi di vita e di esistenze strane, passeggere. Attraverso la sua carriera, ripercorsa con grande ricchezza di passaggi interiori, è stato possibile ricostruire la schizzofrenica storia degli anni ottanta, l'austerity della prima metà degli anni novanta, la ricrescita dei consumi e la globalizzazione fin de secle, così come la crisi della politica e della rappresentatività democratica degli anni più vicini all'oggi.....Un vero spasso, un'autentica ed improvvisata lezione di storia della vita. Di una vita attraverso la Storia come rappresentazione collettiva...

SOCIAL SHAPING E CULTURA ISTITUZIONALE...

Dopo la lezione di oggi riflettevo, punto, sulla questione dell’uso sociale dei mass media. Possiamo, innanzi tutto, mettere a confronto due teorie. La prima, istituzionale, è relativa all’imposizione sostanzialmente verticale delle tecnologie: dall’alto al basso. C’è un’industria culturale, per prendere in prestito qualcosa dalla scuola di Francoforte, che produce contenuti culturali e strumenti che li veicolino e, dall’altra, una massa indistinta di individui che fruisce o, magari, rielabora in una chiave più o meno personale, quegli oggetti così come rielabora quegli stessi mass media, ritrovati tecnologici, innovazione tecnica applicata alle dinamiche d’uso, socialmente rilevante ed imposto dall’alto. L’altra teoria, di fatto, capovolge la suddetta, affermando la capacità dei soggetti sociali (individui, forme di aggregazione societale), non solo di produrre contenuti culturali,ma, al contempo, la capacità di innovare, aggiornare e creare mass media quasi naturalmente, sulla base di esigenze quotidiane che, in un secondo tempo (dunque, al contrario di quanto affermato in precedenza, in relazione alla teoria della creazione istituzionalizzata), vengono assoggettati ad esigenze di mercato e strategie di marketing tecnologico e tecno/sociale.
Possiamo, prima di tutto, tirare in ballo la teoria del flusso comunicativo a due fasi che, a ben vedere, mi pare una giusta via di mezzo tra l’eccessiva fede nella scienza (portato della prima teoria) e l’eccessiva fede laica nelle capacità creative e collaborative (oltre che in una positivista virtuosità) del corpo sociale. Il flusso comunicativo a due fasi, elaborato in relazione ad una serie di studi sociologici condotti negli Stati Uniti a metà degli anni quaranta, appuntava la propria attenzione sulle dinamiche di orientamento/ induzione al voto nella società americana di quegli anni. La suddetta, di fatto, considerava (si, in materia elettorale ma il discorso è, altresì, sovrapponibile ad una qualsiasi dinamica di trasmissione di know how tecnologici dal creatore all’utilizzatore, il tutto cementato e garantito da esigenze commerciale naturali ed indotte) estremamente rilevante i cosiddetti “portatori di opinione prima”, più comunemente noti in qualità di “opinion leader e/o opinion maker” che rappresentano niente altro che l’esatto simmetrico del “first adopter” di una certa tecnologia o, in generale, di una specifica disciplinare, tecnologicamente orientata, di produzione di contenuti culturali per una fruizione personale, di massa o sia personale che di massa, allo stesso momento.
L’opinion leader è individuato, come il nostro “first adopter”, sulla base di una serie specifica di requisiti socio-economico-culturali che divengono ancor più rilevanti e qualitativamente difficili da reperire quanto alto è il livello di complessità della tecnologia presa in considerazione ( d’altronde è anche vero che ogni mass media o pseudo/mass media socialmente (ri)elaborato abbia affrontato e superato una prima fase di “alta qualità e ricercatezza nell’uso” per divenire, solo in un secondo momento, un mezzo tecnologico “ con una larga possibilità d’uso” e, dunque, con infinite possibilità di rielaborazione pratica). Il leader d’opinione o il nostro consumatore primo esiste, dunque, perché è sempre esistito e perché garantisce un fondamentale filtro di razionalità all’evoluzione di tecnologia ad alto impatto sociale (si pensi al passaggio dal cellulare al black barry, dall’uso passivo di internet alla creazione di contenuti e profili personali che gestiscono buona parte della nostra vita relazionale). Un filtro razionalizzante, rassicurante, una vera e propria attività di beta-testing sociale.
L’opinion leader, inoltre, ha dalla sua la grande capacità di persuasione del resto della società. Per cui, maggiore sarà la sua attività di propaganda, maggiori sono le risposte affermative/positive da lui ricevute, maggiore saranno le possibilità che il nostro creatore di opinioni venga conteso dalle grandi multinazionali della produzione/ implementazione di software avanzati così come di programmi elettorali innovati e di rottura, reale o presunta che sia. Non esistono differenze vincolati a mio modo di vedere. Il meccanismo è lo stesso, le provabilità di impatto sociale, le aspettative e le rielaborazioni dal basso che producono l’atteggiamento e il comportamento nell’atto del votare o, se si accetta la premessa, del consumare rendono i due discorsi ( quello sulla politica e la comunicazione di idee politiche da una parte e quello sulla diffusione di nuove tecnologie con tutto il carico di margini d’impiego possibili dall’altra) praticamente intercambiabili. Ed il denominatore comune lo ritroviamo in due concetti, madre e figlia ed entrambi partoriti dalla società moderna e perfezionati dalla tarda modernità: il mercato o, più nel dettaglio, il rapporto di forza socialmente vincolante tra domanda e offerta. Nel mezzo, in una sorta di limbo dai contorni poco noti, ci sono i nostri opinion leader o consumatori primi, certamente più di là che di qua. Per cui si, punterei anch’io a dare un certo peso alle capacità creative de “consumatore ultimo”, ma, dall’altra parte, credo che l’alternanza di tecnologie, dinamiche di produzione con tutto il carico di contesti d’uso sia ancora, fortemente condizionato dall’alto, da chi vive e lavora non tanto dietro la produzione di tecnologie in assoluto, quanto sulla continua ed affannosa ricerca di suggerimenti su contesti d’impiego. Suggerimenti che, purtroppo, continuano ad avere l’impatto e l’effetto sociale di veri e propri dictat.

VECCHIA TESINA, VECCHI CONCETTI....MA ANCHE NO....

L’evoluzione del Capitalismo, lo smisurato ampliamento delle logiche legate a libero mercato e libera concorrenza hanno, nel corso del tempo, intaccato, “contingentato” dall’esterno anche le più solide istituzioni preposte a quella che, sfruttando una precisa terminologia imposta dall’argomento, possiamo definire “fonti d’informazione non contingente”. In tale definizione possiamo, tra le altre, far certamente rientrare l’Università, non tanto come luogo fisico, quanto come sistema deputato alla trasmissione di valori ed idee, argomentate secondo un preciso rigore logico-razionale, scientifico. Parlare di atenei e facoltà, quindi, significa, su tutto, tenere in massima considerazione la/le qualità della formazione, meglio definita con una terribile quanto attuale formula in uso “offerta formativa” e/o “P.O.F”, visto che formule e slogan simil/pubblicitari sono entrati a far parte di un’impalcatura pedagogico/educativa sempre più fragile e passeggera.
Se è vero, dunque, che “ (…) lo scopo principale dell’informazione non contingente (strutturata sulla trasmissione mediata di valori, ideali e Sapere) è quello dell’adesione altrettanto non contingente ad opinioni valide entro una determinata società e fortemente legate ai valori che la ispirano (…)”, allora, mi sembra doveroso aggiornare il quadro. Riflettendo da “integrato”, per dirla alla Eco, riguardo il funzionamento attuale del sistema universitario, non posso non accorgermi di quanto esso si stia gradualmente discostando (specie da un punto di vista qualitativo) dal tradizionale quanto genuino modo di concepirlo come fondamentale luogo di studio, funzionale alla costituzione di una coscienza critica e, dunque, di una personalità completa, pensante. Informare, in questo senso, coincide con l’idea di “formare”, dar forma, plasmare un individuo attraverso il testo scritto e la parola parlata, dibattuta, argomentata, riflessa. L’evoluzione di un habitus mentale sempre più improntato all’“economicità”, alla relazione costi/benefici che si possono ottenere da una determinata esperienza ha, nel complesso, agito alle fondamenta, decostruendo lentamente un’ideale formativo caratterizzato da un profondo e razionale coinvolgimento personale. Un coinvolgimento i cui benefici sono indiscutibilmente superiori ad un magro, triste calcolo relativo a: tempo impiegato, numero di “C.F.U” (le sigle tornano alla carica!) guadagnati da questo o quell’altro insegnamento o, per farci ancora male, dalle spaventevoli “Aree Modulari Integrate”, quanto di più obbrobrioso sia stato in grado di partorire il marketing con velleità di aggressività e seduzione prestato alla didattica. Shumpeter, mosso dall’intento di ricostruire l’evoluzione del marketing politico che ha radicalmente rinnovato il rapporto tra leader, partito ed elettore, lo rileggeva nell’ottica di una relazione di mercato, del tipo domanda/offerta, tra produttore e consumatore. Il politico veniva e viene, dunque, concepito in quanto produttore di un bene contingente (un programma, una promessa elettorale..) il quale cerca consensi basandosi unicamente sulla qualità della propria “offerta politica”. Dall’altra, l’elettore/consumatore, assecondando le proprie inclinazioni, necessità, aspettative e desideri accorda il proprio consenso, espresso mediante l’atto del voto/gettone, a colui/colei che, meglio di altri, si dimostra capace di soddisfarlo. Un rapporto nato su di una forte base ideologica ed istituzionale, non solo si decostruisce, ma, assorbe ed incarna alla perfezione la prospettiva del libero mercato. Libero mercato di idee ed uomini. Non a caso, oggi, si sente tanto parlare di “antipolitica” come espressione di un rifiuto, più o meno razionale, orientato verso l’intero pacchetto dell’“offerta politica”. Ebbene, anche tra maestro e discepolo, in quanto discepolo (forse non più!), avverto un lento scivolamento verso simili logiche. Il maestro, più o meno all’altezza del compito, frustrato dalle condizioni di lavoro, si percepisce come una sorta di “venditore di una cultura al dettaglio”, sempre più ridotta in pillole date in pasto a giovani uniformati, omologati dalle pressioni di una società che ha perso di vista l’importanza dell’”acculturazione” così come delle sue menti più giovani e geniali. Le recenti riforme del sistema universitario sono state concepite proprio per ridimensionare quanto di più importante attiene alla sfera dell’apprendimento. Riduzione dei tempi, riduzione degli insegnamenti, riduzione dei testi funzionali all’esame, taglio degli stipendi per precari, ricercatori ed insegnanti di ruolo. Pare che tutto vada nella direzione di eliminare l’Università o, nella più rosea delle ipotesi, ridurla ad una costosa ed inevitabile via di passaggio verso il mondo del lavoro, verso l’affermazione individuale oggettivata nella carriera professionale. Ci domandiamo perché proprio oggi che le Università si stanno gradualmente smantellando, è così forte il richiamo verso l’acquisizione del maggior numero possibile di titoli: lauree di base, specialistiche, master, corsi di formazione, scuole superiori, a noi la decisione. Tutti possiamo scegliere tutto equivale ad affermare che nessuno può scegliere niente….niente di buono. “L’inarrestabile avanzata della tecnica non poteva non coinvolgere anche l’educazione, rendendo necessarie le specializzazioni. La specializzazione e la democratizzazione hanno creato un’educazione pianificata, standardizzata che alla fine svilisce le peculiarità tipiche di ogni personalità (maestri e discepoli). Questa mancanza di personalità isola l’uomo.” Lo aliena da sé stesso e dagli altri.
Probabilmente ragiono da pessimista “integrato” che vorrebbe assurgere alla posizione di apocalittico. E, per questo, mi scopro un integrato ancor più intransigente, ortodosso. Tuttavia, vivo con amarezza questa debacle istituzionale ed accademica. Provo un profondo senso di nostalgia nelle sue parole così come in quelle del Fattorello che, restando in tema, ci descrive i tratti dell’informazione che denota il rapporto tra maestro e discepolo con una buona dose di nostalgia, esotismo.
L’assenza di tempestività, la possibilità di apprendere, annotare. Quindi digerire con la mente, dibattere, mantenere le proprie posizioni. Crollare dinnanzi ad argomentazioni inconfutabili. Ammirare la sapienza di taluni maestri, buoni o cattivi, di vita e d’accademia. Forse proprio l’assenza di un TEMPO, inghiottito dall’ansia impellente del domani, del futuro, ha finito con l’inghiottire e sputacchiare in forma di piccoli pezzetti anche un’istituzione carica di valori come l’Università. La proiezione nevrotica verso il mondo del lavoro a cui dobbiamo essere immessi o, peggio, “introdotti” come buoi al macello. L’acquisizione di titoli di prestigio fini a sé stessi o, al massimo, a coloro che li hanno assegnati. Un offerta didattica fisiologicamente discriminante per cui se sei ricco fai strada, costruisci un curriculum vitae da capogiro, ma, se non hai le possibilità economiche, sei fuori dal giro. L’influenza di mercato e danaro, la dilagante affermazione della religione laica del capitalismo ha contagiato le dinamiche più profonde legate alla socializzazione. Per cui, se l’ ”acculturazione” è rapida, contingente, discriminante, lo è, ahimè, anche la socializzazione che (il)logicamente ne consegue. La tecnica, man mano che si afferma, aliena l’uomo dalla sua personalità per isolarlo e, appunto, “standardizzarlo”. Alla lettura di queste parole, mi è subito saltata in mente la dinamica di attrazione del consenso, razionale ed irrazionale, legata alla propaganda politica anche totalitaria. Lì era un’informazione contingente che si ammantava di non contingenza; qui, appare il terribile paradosso di un’istituzione informativa non contingente interiormente contagiata dalla contingenza “pienamente dispiegata”. Scopo della (in)formazione non contingente, dunque (sulla cui credibilità inizio ad avere seri dubbi!), sembra divergere verso la costruzione di un surrogato d’uomo, ben educato ai principi del mercato, capace di rispondere in maniera rapida ed esauriente alle dinamiche di problem-solving caratterizzanti la sua vita, il suo lavoro, la sua coscienza. Compio un azzardo, spero non eccessivo, quando affermo che c’è, alla fin fine, una precisa logica attraverso cui il capitalismo, non certo etereo, cerca di insinuarsi all’interno delle istituzioni tradizionalmente deputate all’educazione di giovani menti. Ci vedo un piano programmatico ben preciso. Un destino evolutivo. Costruire il prototipo di individuo che meglio si adatti alle condizioni (mutate) della socializzazione, più o meno coatta, così come dell’acculturazione. Cultura è sapere in pillole, o meglio, in moduli ed aggregati di moduli. Cultura è risparmio di tempo, economicità: minimo impegno, massimo guadagno. Cultura è l’accumulazione di un utile reinvestibile nel lavoro, nella propria carriera. Per prevalere sugli altri, per anticiparli. Si frequenta l’Università, si seguono corsi, ci si appassiona. Ancora. Ma la passione non basta. Bisogna ricorrere alla ragione per argomentare in maniera lucida e senza limiti di spazio/tempo. La costruzione di un’identità mediata dai libri, dalle parole dette e recepite.
Università, oggi, vuol dire investimento, labile impegno, interesse latente. Passione, trasporto monotematico, orientato, “specialistico”. Provo, spesso, la sensazione di non sapere dove lo studio mi porterà. E’ un sentire positivo, eccitante, ma, anche profondamente angosciante, nero. Vorrei scorgere un senso ultimo dietro quello che apprendo: piano provvidenziale. Vorrei chiedere di più, per saperne di più. Di più di tutto, di più di me stesso. Lo smarrimento, l’alienazione frustrante, l’angoscia senza valvole di sfogo sono gli effetti collaterali, indotti dall’affermazione di spietate logiche di mercato. Più sei coinvolto in lavori di gruppo, più allontani lo spettro della solitudine, dell’assenza di forti, stabili punti di riferimento. E’ un sentire condiviso da molti della mia generazione e la cosa mi aumenta la paura, l’angoscia. L’Università di un tempo insegnava a pensare ancor prima che ad argomentare. Insegnava a reagire con la forza delle proprie idee. Idee che aggregavano, univano davvero. Oggi percepiamo il male, ne conosciamo le dimensioni ed i margini di miglioramento. Ma, al tempo stesso, viviamo di rabbia frustrata, impotenza perenne. Perché siamo soli, o ci percepiamo tali. Ci sentiamo abbandonati a noi stessi proprio quando ci viene richiesto di avere fiducia “nei nostri mezzi”, nelle nostre attitudini. Corsa contro il tempo, reazione agli stimoli esterni, ansia da prestazione (non solo professionale), incertezza invadente, mancanza di autentici “maestri” di vita. Questi i principali ingredienti che condiscono una vita, nel complesso, sapida. A tratti, davvero amara.
Tutto questo, in fine, spiega la profonda crisi di valori stabili su cui, normalmente, si regge un’organizzazione sociale, statale. Se non si è più capaci di informare circa i valori, le credenze ed i costumi che sorreggono l’impalcatura di una collettività; com’è possibile pretendere che tali items restino immutati, “cristallizzati” nel tempo, attraverso le generazioni?. La realtà è cambiata o, tutt’al più , è nel pieno della sua più profonda trasformazione. Solo percependo l’entità e le caratteristiche del mutamento, a mio parere, è possibile ridisegnare un rinnovato rapporto tra maestro e discepolo. Un rapporto forte e razionale, capace di difendersi dagli attacchi (non solo esterni) provenienti dalle strategie di mercato, così come da una società sempre più sul piede di una guerra fratricida e suicida. Per ora, dunque, i vecchi maestri resistono in trincea. I giovani discepoli, “maestri del futuro”, invece, si sono volatilizzati da tempo. Purtroppo.

DA DOVE RIPARTIAMO....DA ME?

Riprenderei le fila del discorso da quel post su "Crash- contatto fisico" che avevo buttato lì nella speranza di un...boohh..in realtà, di niente. Solita vita in queste settimane....esami, qualche scadenza apparentemente angosciante,ma, per il resto, tutto sembra stranamente procedere con una serenità solo di rado disturbata....Diciamo che mi trovo nell'epicentro di una fase della mia vita profondamente auto-riflessiva (un modo bello e poetico per dire che mi sto facendo profondamente ed indisturbatamente i cazzi miei)....Organizzo le giornate della mia vita in funzione del raggiungimento degli stessi obiettivi, ma, con un sovrappiù di tranquillità, con una calma che, a volte, preoccupa anche me..Non sono mai stato un tipo calmo, faccio le cose con una fretta sistematica e, spesso, quando non c'è, procurata. Tutto all'ultimo, tutto d'istinto...Non è che sto crescendo? e (che cosa triste alla tempo delle mele) me ne sto anche accorgendo?...Vabbè, non voglio tediarvi col pippone con la maturazione interiore, l'ascetismo e i reality show (da massmediologo improvvisato)....Platone (mi pare nel Fedro) diceva che la scrittura avrebbe ingannato gli uomini, li avrebbe corrotti (come la famosa "caverna" platonica). Avrebbe introdotto una forma di mediazione nell'apprendimento del sapere che, a suo giudizio, era estremamente negativo per gli uomini che, in un batter d'occhio, si sarebbero trasformati "da potenziali uomini di cultura a semplici (tristi) portatori e sostenitori d'opinioni". Tra l'altro è comico il paradosso per cui egli stesso si affidasse alla scrittura per inneggiare all'oralità e denigrare la stessa scrittura (e lettura da parte dei discenti come forma di insegnamento)...Per la prima volta mi sento libero di dire con assoluta franchezza intellettuale.....Platone ma che cazzo stai a di, indi, vi lascio.....a presto.....

Crash.........breaking hearts......hurting hearts!!!

ciao a tutti........Ho appena finito di vedere per la seconda o terza volta "Crush-contatto fisico". Avevo proprio bisogno di un iniezione di buon umore prima di ripartire alla volta di Urbino. Già la prima volta avevo intravisto una lezione, una sorta di morale poi non così tanto nascosta. La seconda volta, questa, l'ha rafforzata senza alcun ombra di dubbio. E', cioè, che nella rappresentazione del mondo offerta dal film, rappresentazione assolutamente aderente alla realtà, domina il caos, il disordine ed un assoluta incompresione tra gli esseri umani. Ebbene, in quel mondo (questo mondo, in fondo) l'unica cosa che riesce a darci un lieve senso di protezione, l'unica forma di autosalvazione è costituita dall'amore, in tutte le sue forme. Amare ed essere amati è davvero l'unico modo per sentirsi al sicuro. L'unico, vero modo per lasciare al mondo qualcosa di sensato, che sia valsa la pena di aver vissuto...Kant diceva che due cose era indispensabile avere al momento della morte: il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me..Quel "cielo stellato" io lo interpreto proprio così, costellato d'amore......buona notte......