Cerco di ricomporre le idee dopo la presentazione dello scorso lunedi

Dinamiche di costituzione ed (auto)rappresentazione dei movimenti sociali
nei siti di Social Network
(ricostruzione(?) dello speech tenuto durante il primo incontro con il collegio docenti_14/06/2010)


L’analisi dei movimenti sociali potrebbe rappresentare un’utile prospettiva alternativa attraverso cui focalizzare l’attenzione sull’evoluzione storica della teoria generale legata allo studio ed all’osservazione scientifica dei fenomeni in Rete. In modo particolare, attorno al momento di passaggio da una fase “dialettica” nella considerazione e nel giudizio manifesto attorno ed a partire dalle prime analisi sul Web (“realtà vs rete”, “on line vs off line”) ad una dimensione “sintetica” (Rete = nuovo ambiente per la costruzione di relazioni e oggetti/testi capaci di produrre sia effetti “di realtà” che effetti “nella realtà”) mediante la quale anche la rete (e le dinamiche neorelazionali ad essa legate) hanno finalmente assunto dignità ontologica e scientifica. In altri termini, tale passaggio (significativo a livello di cambiamento di paradigma scientifico di riferimento), nella pratica, trova concertazione nel passaggio da un momento in cui il Web veniva considerato soprattutto come uno strumento utile al completamento/consacrazione di relazioni/esperienze/narrazioni che avevano luogo, prima e soprattutto, nella realtà esterna ad essa. D’altra parte, questo ricorso ad una “rete/strumento” ha sempre nascosto un giudizio di valore attorno a tutto ciò che aveva vita nel Web. Si è a lungo insistito, ad esempio, sul raffronto (anch’esso, caduto nella trappola dialettica!) tra legami forti e legami deboli. I primi legati alla lebenswelt, al mondo della vita di memoria habermasiana. Una realtà intesa come spazio per la naturale affermazione della(e) dimensione(i) più “umane” dell’individuo. Un territorio che, nel tempo, si è trasformato (almeno in relazione al proliferare di studi sul Web) piuttosto in un fortino da difendere dagli attacchi a quell’umanità provenienti dal(i) mondo(i) on line. I secondi, strutturalmente differenti, sono stati a lungo considerati di una qualità (e di uno spessore in termini di analisi scientifica) inferiore, perennemente accessoria e di secondo ordine. In questo momento (quello che, per comodità, abbiamo definito “dialettico”) la teoria legata alla sociologia della comunicazione, con particolare riferimento all’approccio tradizionale allo studio dei mass media (tv e stampa in modo particolare) paga evidentemente un doppio dazio. Sia verso se stessa ed un evidente appesantimento che le ha impedito di comprendere subito i margini di sviluppo legati all’evoluzione delle dinamiche di Rete; sia verso lo stato dell’allora evoluzione del Web che, ancora pochi anni or sono, non lasciava presagire con l’attuale nitidezza un successo ed una penetrazione sociale e culturale così decisiva.
Restando, tuttavia, sull’oggetto della presente ricerca (l’analisi delle dinamiche costitutive/evolutive di un movimento sociale in Rete), anche la progressione storica dei movimenti legati alla Rete mostra di aver fatto propria la distinzione tecnico-strategica cui si è fatto riferimento sopra. Di fatti, dall’iniziale nascita ed affermazione dei cosiddetti “movimenti antagonisti”, caratterizzati dalla capacità di fare gruppo sostanzialmente off line e trovare un “fluidificatore organizzativo” nella rete e, in modo particolare, nelle primissime applicazioni web (newsletter, mailing list, primi sistemi di chatting, siti web 1.0). Si pensi, in questo contesto, all’affermazione del primo movimento di proporzioni (potenzialmente) globali: i cosiddetti “No global”. Molti studi (Della Porta 2001, Ceri 2002, Bentivegna 2002) mostrano come, in realtà, esso si sia costituito tra la fine degli anni 80’ ed i primi anni 90’ a seguito dell’aggregazione di numerose ONG presenti negli Stati Uniti ed in nord Europa. L’adozione di sistemi d’interazione mediata da computer (C.M.C) è servita a loro, dunque, solo allo scopo di rafforzare e/o di implementare relazioni nate off line. La potenziale evoluzione di nuove relazioni, d’altra parte, è sempre stata ritenuta un’ipotesi minoritaria e, in ogni caso, in grado di alimentare solo “legami deboli”, nient’affatto strutturati o duraturi. Nel tempo, tuttavia, l’evoluzione di possenti dinamiche organizzative in Rete (si pensi solo agli esempi provenienti dalla rivoluzione iraniana, dai processi di costruzione/circolazione di informazione dal basso e dai flash mobs organizzati a scopo di contestazione commerciale) hanno permesso a quest’ultima, anche grazie all’evoluzione delle ormai note applicazioni collaborative “2.0”, di imporsi come un vero e proprio ambiente dotato di realtà, dignità, credibilità ed autonomia operativa. Dall’altra parte la teoria, che insegue la pratica delle relazioni nate on line, ha consolidato un approccio finalmente capace di tenere assieme i due poli un tempo ritenuti estremi e reciprocamente esclusivi: realtà e rete. Società e tecnologie camminano assieme, in una dimensione permanentemente complementare, co-evolutiva. Tale paradigma, legato alla più tradizionale teoria del modellamento sociale delle tecnologie (si veda, in proposito gli studi di Bell citati in Livingstone/Lievrouw), sembra aver portato a pieno compimento l’approccio di stampo culturologico allo studio dei mezzi di comunicazione (Morin, Eco, Abruzzese) che, nel corso della sua evoluzione storica, ha gradualmente restituito peso scientifico e capacità rielaborativo-creative al destinatario di tali comunicazioni che, ad oggi, viene effettivamente ritenuto capace di “agire” (act) in modo determinante sulle applicazioni di cui è, allo stesso tempo, un normale fruitore (si pensi, in proposito, alla filosofia che informa la nascita e la periodica implementazione di un social network come “Facebook”). Tra gli studi legati a quest’approccio (Reinghold, Silverstone, Ceri, Ito, boyd, Castells) vorrei riprendere quelli sulle culture fandom e le dinamiche di relazione all’interno dei fan groups di Henry Jenkins ed, in modo speciale, due concetti elaborati dallo studioso del MIT. Il primo è quello di “convergenza culturale” che, ribandendo quanto detto in precedenza, sottolinea in modo efficace l’abbattimento di distinzioni (tra realtà e rete, on line ed off line, tra media differenti) e la ridefinizione di un nuovo mondo in cui collocare noi stessi, le nostre reti di relazioni, il resto della società. Un mondo che si impone, in questo senso, come una realtà ibrida e di dimensioni pari all’intero globo (almeno potenzialmente!). Un nuovo spazio, permeato (e, in parte, costruito) da una combinazione straordinaria ed inedita di mass media, new media, comunicazioni ed informazioni di diversa natura che si incrociano e sviluppano forme ibride sia a livello tecnico (nuovi devices, Iphone, Web tv) che di contenuto (prodotti mediali concepiti e realizzati per dispostivi mobili, narrazioni prodotte dall’accumulazione di conversazioni nei social networks). Dentro tale concetto-ombrello ritroviamo, inoltre, quello (il secondo) di civic media. Ovvero, nel contesto della caduta di differenze di valore e reali tra ambienti già comunicativamente strutturati, emerge una stretta relazione tra questi scenari informazionali, un’evidente sovraesposizione dei soggetti a tali dinamiche e la possibilità che tale esposizione (e/o “partecipazione diffusa”) possa influire sulle forme dell’agire politico e della partecipazione alla vita sociale (on line ed off line). D’altra parte, se si prendono in considerazione le caratteristiche che, di solito, contraddistinguono un movimento sociale (policentricità, reticolarità, segmentazione e naturale distribuzione delle competenze) e le sia associa a quelle di cui sono dotate le piattaforme d’interazione di ultima generazione (interattività, alto grado di immersione, condivisione, collaborazione) emerge un vero e proprio “accoppiamento strutturale” tra questi elementi. Un accoppiamento che riassume in sé tutto il potenziale evolutivo e le possibilità di rielaborazione delle relazioni sia dei social networks (intesi come ambiente in cui riscrivere le regole della comunicazione), sia per quanto riguarda forme di agire comunitario come i social movements che decidono di affidare quote crescenti del proprio destino evolutivo alla Rete (invertendo il processo tradizionale “from off line to on line”). D’altra parte, è necessario ribadire che tale accoppiamento si rivela strategicamente rilevante, in particolare, da due punti di vista. Il primo è quello relativo all’implementazione di dinamiche architetturali connesse alla costruzione di un movimento in Rete (si pensi a come un social networks, attraverso un toolkit variegato, sia in grado di garantire una equidistribuzione di competenze, funzioni, azioni. Magari alimentandone di nuove grazie alle proprie caratteristiche tecniche). Da questo punto di vista, gli SnS si impongono come il collante per la creazione ed il consolidamento di un organigramma reticolare. Organigramma che rinvigorisce, d’altra parte, anche attraverso la produzione e la diffusione della linfa necessaria alla creazione di coscienze critiche e/o motivazioni all’azione: le informazioni. Per dirla in parole povere, i social network forniscono fondamenta, mattoni e calce per la costituzione di movimenti sociali in Rete. Quest’ultimo punto (relativo alla circolazione di informazione) trova conferma proprio nella ricostruzione degli studi attorno ai movimenti sociali cui si è fatto riferimento in precedenza. Molta parte della storia evolutiva dei primi movimenti legati al web ha messo in evidenza come questi ultimi ammantassero di significato politico anche l’uso di specifici mezzi tecnici per il confezionamento e la diffusione di informazione. Per cui, ad esempio, nell’ambito di una dialettica tra istituzioni ed i cosiddetti “movimenti antagonisti”, i primi erano naturalmente connessi ad i media di massa (stampa, tv, radio) e sviluppavano un correlato tipo di comunicazione; mentre, dall’altra parte della barricata vi erano i movimenti che utilizzavano le frequenza libere per la trasmissione di informazione via radio e/o tv ed, allo stesso tempo, adottavano le prime applicazioni web (mailing list soprattutto) per produrre informazione alternativa a quella del sistema, inteso nell’accezione francofortese del termine. Tuttavia, se si riflette sul modo in cui si è originariamente sviluppata la Rete (tradizionalmente connessa alle prime attività di hacking degli utenti meglio alfabetizzati all’uso della tecnologia), questa descrizione sembra un vero e proprio back to the roots che, ancora una volta, impedisce di superare i limiti contenuti in questa semplificazione teoretica per cogliere le autentiche potenzialità di ciò che sarebbe tanto riduttivo quanto controproducente definire con l’espressione “mezzo di comunicazione”. Si cercherà, alla luce di quanto sottolineato, innanzitutto di abbandonare ogni tentazione alla speculazione teoretica con finalità semplificatorie (i “buoni” abitano la Rete, i “cattivi” sono le corporations della comunicazione che controllano i mercati globali e/o viceversa), ogni esaltazione “technologically-orented”, così, come ogni pregiudizio nei confronti di ciò che ha luogo in questi spazi straordinariamente dotati di potenzialità rivoluzionarie in termini sociali, comunicativi, relazionali e narrativi. Ed, allo stesso tempo, si proverà a dare risposta ad almeno tre macro-quesiti relativi ad un oggetto di ricerca tanto complesso ed attuale quanto affascinante:
1) Come nasce, si articola e sviluppa un movimento legato a temi sociali che decide di affidarsi alla rete, con particolare riferimento ai social networks come motori di nuove dimensioni organizzativo/aggregative?;
2) In che modo, queste dimensioni neocomunitarie declinano concetti tradizionali come agire politico e partecipazione politica (ad esempio, osservando la pratica di costituzione/cooptazione di soggetti/prosumers, così, come la struttura funzionale alla trasmissione d’informazione ed alla ripartizione di priorità e responsabilità)?;
3) Come si oggettiva, alla luce delle suddette innovazioni tecno-sociali, il rapporto intersistemico tra “soggettività connesse”, istituzioni partitiche e media “main stream” (entrambi interlocutori naturali dei movimenti sociali in rete. I primi per ciò che riguarda le dinamiche tradizionali del coinvolgimento politico; i secondi per le modalità di costruzione dell’informazione attraverso il setting e la sincronizzazione di agende e temi)?;
4) Premesso che nell’analisi di oggetti complessi come i testi prodotti/fruiti in rete la triangolazione1 sembra risultare, ad oggi, la soluzione metodologicamente più sensata. Ci si chiede, in relazione all’oggetto della presente osservazione scientifica (incarnato in un caso di studi ancora da individuare), quale sia l’opzione metodologica più efficace nell’elaborazione di simili dati, così, come nella restituzione di risultati validi, efficaci e rappresentativi dal punto di vista statistico-matematico?

Io, Lorenzo, Verena e Margherita Hack

So perfettamente che farò spesso riferimento alla serie televisiva “Boris”, ma, ieri sera ho assistito ad una riproposizione assolutamente fedele di questa serie tv che, in realtà, è una specie di parodia della società italiana. Dei suoi vizzi, dei costumi e dei malcostumi, delle storture della politica come di quelle del mercato (specie dei mezzi di comunicazione commerciali!). Insomma, ieri mi sono ritrovato assieme a due miei amici a Misano Adriatico alla presentazione dell’ultimo saggio di Margherita Hack (“Libera scienza in libero Stato” credo..). Già mi immaginavo la solita solfa auto-celebrativa ed auto-referenziale tipica delle cose organizzate da amministrazioni comunali di sinistra per un pubblico-elettorato di sinistra (e sempre in cerca di conferme e rassicurazioni!). Vabbè, ad ogni modo il tema sembrava interessante ed ho voluto provare ad andare. E la scena che mi si è parata subito davanti agli occhi era delle peggiori. A cominciare dal pubblico. Tutti anziani, età media attorno ai 65-70. Ma è possibile che quando si parla di scuola, ricerca, investimenti in innovazione e sviluppo del nostro paese il pubblico più annoiato e disinteressato sia propri quello dei giovani?..Quello con meno prospettive, meno soldi, meno educazione, meno futuro di tutti. Un paradosso che, forse, si spiega col fatto che il livello medio di interesse dei giovani verso cose del genere sta toccando i minimi storici. Siamo la generazione più nella merda di chiunque altra, ma, siamo anche i meno disposti a rinunciare a qualcosa, a lottare affinché le cose cambino, buffo no?
Andiamo avanti. Ad un certo punto, in perfetto orario, si presenta una dolcissima Margherita Hack. Una donna che non esita a dimostrare tutta la sua gratitudine verso un pubblico nutrito e la sua enorme dolcezza. Immagine immediatamente rovinata dall’assessore-bibliotecario (finto) intellettuale di sinistra vecchio stampo che, con fare altezzoso, tira immediatamente un mega-pippone in cui, tentando di tessere le lodi dell’anziana signora, non faceva altro che guardarsi allo specchio sapientemente costruito con le parole (finto) ricercate con cui ha avviato l’incontro. Ho pensato subito “ecco il solito spocchioso di sinistra, riconosciuto come un autorità culturale (e magari politica) nella sua realtà, ma, che al di fuori di essa, non vale un beneamato cazzo!”…Introduzione brillante, pippone apprezzatissimo, domanda (finto) spiazzante e certamente strappa applausi da parte di un pubblico intorpidito un po’ dall’anagrafe, un po’ dalla caloria di un teatro comodo per le formiche (non per più di cento persone!), un po’ dalle parole dello stimato (o, forse, semplicemente assecondato!) intellettuale di turno… Ad ogni modo, la donna, femminista convinta, laica protagonista di tante battaglie politiche e civili, inizia l’illustrazione delle parti di cui consta il suo testo. Il tutto si consuma, con scelta sapiente che si rivelerà ingenua, in poco tempo per permettere al pubblico di intervenire con domande e spunti di riflessione. L’avesse mai fatto. Inizia la fiera delle banalità in cui, purtroppo, la comunità mette in mostra tutte le proprie bestialità insensate e grottesche. Parte il pecoraio del villaggio che, ammettendo la sua ignoranza, si lancia in domande e riflessioni su Buddha e Confucio nel tentativo di mettere in difficoltà la povera donna. Ma tutto rientra subito con un galante (e sudaticcio) bacia mano da parte del montanaro (un montanaro in un posto di mare è grottesco per natura!). Subentra all’omaccione delle montagne il bambino appena uscito da una pubblicità della Benetton che, letteralmente spinto dalla mamma e dal papà (bastardi psicopatici in cerca di stima e riconoscimento sociale da parte della comunità lì riunita), afferra il microfono e chiede: “Senta signora, ma, quando cadrà la prossima stella cadente?”…Applausi scroscianti, occhiatine d’intesa alla famiglia del bambino che, orgogliosissima per l’accaduto ed interessata al tema del dibattito, abbandona immediatamente la sala senza nemmeno aver ascoltato la risposta accorta ma ironica della Hack. Il loro “lavoraccio” quotidiano l’avevano fatto. La loro dose di soddisfazione quotidiana l’avevano ricevuta. Come il pusher che, dopo lo scambio, si dilegua dentro una discoteca affollata e tu resti solo a guardarti le mani tra il rincoglionito e l’ingolosito. Tristezza che avanza nel teatro-cinema. Nemmeno una pera d’eroina c’avrebbe tirato su. Parte, dunque, raffica di domande idiote e piuttosto fuori-tema. Credendo di avere davanti la versione seria ed affidabile di Sandro Giacobbo (quello di Voyager, un giornalista!), si abbandona tutti a domande che, piuttosto, sono curiosità personali, luoghi comuni in cerca di conferme. Buchi neri, universi paralleli, forme di vita non umane, eclissi, stagioni…tutte le più classiche minchiate che ti fanno studiare quando fai geografia astronomica al liceo. Ad ogni modo, niente che una buona ricerca su Wikipedia non sarebbe stata capace di soddisfare!!. E la politica? Le leggi-bavaglio? I tagli alla ricerca e alle assunzioni in scuola e università?...Non si sarebbe dovuto parlare di tutto questo? Invece, la povera donna (ripeto), seppure in gamba, era da sola e in balia di questa comunità di mentecatti fuori posto. Non spalleggiata da conferenzieri solidi e preparati, è stata letteralmente mandata in pasto al pubblico assetato di curiosità da pubblico televisivo del sabato sera. Niente di più, niente di meno. Un’occasione sprecata per parlare di cose che avrebbero interessato i giovani. Cose che, a vedere la composizione di quel pubblico ed il morale espresso dalle domande, comunque i giovani non avrebbero ascoltato perché non c’erano. Saranno stati fuori ?, a godersi la frescura serale tra negozietti e gelaterie di cui il luogo era pieno zeppo!!. Se c’è ancora qualcuno che non crede nella piena penetrazione sociale della “locura” (cit. da “Boris 3”) è pregato di ravvedersi in tempi brevi. Se non lo farà, ne sarà preda senza nemmeno accorgersene; quasi quanto lo sono io di Boris!!!....

Sfogo attorno all'accademia.....da oggi sento di poterlo fare un pò più spesso del solito!!!

No, perchè l'idea che uno debba lavorare tre anni dietro un oggetto della cui credibilità è poco convinto, di riflesso, porta la tua credibilità ai minimi storici. E' quello che mi sono detto nel momento in cui ho deciso di cambiare il mio progetto di ricerca. Ho riflettuto sulla spendibilità di ciò che si realizza (in un mondo McDonaldizzato siamo tutti un pò commercianti di noi stessi!), in termini scientifici ovviamente. Ho cercato di pensare alla passione, allo studio estenuante, alla realizzazione di qualcosa di importante (per me, sopra ogni cosa!). E difficilmente ci si sarebbe potuti permettere di lavorare per altri, di cercare la sintesi, il compromesso. Di quel genere di compromessi, poi, che ti ammazzano la voglia di fare. Che tranciano di netto le tue potenzialità. Io non so se possiedo una competenza (figuriamoci un talento!) per la ricerca. Non so, onestamente, se sono adatto a condurre lavori strutturati, coerenti e complessi. Non lo so. Ma so per certo che, finchè potrò, cercherò di dare senso alla mia esperienza di dottorato facendo quello che mi piace. In fondo, è proprio seguendo questa chimera che ho tanto lavorato per rendere possibile tutto questo. Se, una volta createsi le condizioni, avessi deciso di rinunciare ai miei interessi (mettendo da parte me stesso proprio nel momento in cui avrei dovuto esserlo di più!), mi sarei comportato in modo schizofrenico, contraddittorio. In una parola: stupido. E me ne sarei pentito per tutto il resto di questa esperienza. Forse, d'altra parte, me ne pentirò lo stesso. Fanculo l'università dei baroni, delle adesioni incondizionate. Delle lottizzazione che disegnano geometrie e ripartizioni che avvolgono tutto e tutti indistintamente. Uomini, cervelli, competenze, vite, risorse, oggetti, spazi. Fanculo l'università che non vuole crescere ma combatte solo per il mantenimento dello status quo che fa bene a loro e solo a loro. Vaffanculo l'università dei capi e dei capetti che fanno pagare il prezzo della loro frustrazione a delle persone innocenti e che hanno scelto l'università perchè credevano di poter dare qualcosa di nuovo, originale ed importante alla comunità, non solo scientifica. Fanculo le pressioni psicologiche che ti schiacciano e ti fanno sentire, comunque vada, colpevole. Di essere stato troppo duro o troppo poco duro. Troppo furbo o troppo poco abile nelle pubbliche relazioni. Troppo politico o troppo poco diplomatico. Vada a farsi fottere quell'accademia che ti stressa con le sue discussioni politiche, i suoi compromessi ed i suoi costanti baratti distogliendoti da quello che dovresti fare davvero: Ricerca. Vada a farsi fottere l'università dei pipponi, delle cose scritte e non firmate, delle soddisfazioni castrate. Delle cazzate ammantate di scientificità. Dei leitmotiv dei professori, che con quelli sono nati e con quelli moriranno. Nemmeno un cantante che si sia reso noto per un solo pezzo in tutta la sua carriera riesce a campare così a lungo e con i confort con cui riesce a farlo un qualunque ordinario. Vedi i benefici dell'affidarsi ad un sistema liberista e commerciale spinto???!!!!....Non si sa mai...E, in fine, vaffanculo a tutti quelli che non lavorano seriamente per creare un futuro, dell'accademia e dei giovani che vi lavorano. I burocrati, i tecnocrati, i giuristi, i governanti che se ne sbattono di creare ricambio, continuità, qualità e preferiscono far parlare statistiche e numeri che non dicono niente e dietro cui si cela tutto e di più. Gli orrori e le mancanze più gravi!!!!. Vaffanculo gli egoisti e gli ipocriti. Vaffanculo una università che li racchiude e continua a cooptare gente della sua stessa specie. Così non si cresce affatto, anzi, ci si avvicina alla morte. Cerebrale e organica!!!!......

Butto lì una idea per un progetto di ricerca sensato.....

Dinamiche di costituzione ed (auto)rappresentazione dei movimenti sociali
e siti di Social Network


Ratio ed obiettivi

Con il presente progetto di ricerca ci si propone d’indagare, da una prospettiva coerente con i principali approcci della sociologia della comunicazione legati sia alla communication research che allo studio delle dinamiche della produzione culturale nei media, i processi alla base della nascita, evoluzione ed espansione, nell’ambito delle più recenti tecnologie di social networking, dei movimenti sociali meglio noti con l’acronimo di S.M.Os (Social Movement Organizations). In particolare è ipotizzabile pensare gli SMOs come luogo privilegiato di osservazione delle dinamiche di strutturazione del micro-macro link nella nostra società complessa.
In modo particolare s’intende osservare il fenomeno innanzitutto da una prospettiva macrosistemica, ovvero, incentrata sull’osservazione dei meccanismi di oggettivazione delle proprietà che buona parte degli studi di riferimento (Della Porta 2001-2002, Antenore 2005) attribuiscono ad un movimento sociale legato alla Rete e, in particolar modo, all’adozione di strumenti in ambienti ad alto tasso d’interazione come i social network. Esse sono:
• segmentazione (articolazione interna del movimento, regolata dall’uso di specifiche variabili),
• policentrismo (il riscontro della presenza di una dimensione verticale o, piuttosto, orizzontale nella gestione delle priorità, dell’agenda settino dei temi di riferimento, nell’attribuzione di specifici ruoli, responsabilità e relative competenze),
• reticolarità (o livello di ramificazione del movimento. Esso può essere considerato come il livello di penetrazione/seguito ottenuto all’interno di uno specifico segmento della società e/o di una realtà geografica particolarmente connessi con le ragioni ed il modus operandi del movimento in questione).
• natura dei legami interpersonali che si realizzano all’interno di un determinato movimento sociale.

Molta della letteratura di riferimento, ancora profondamente influenzata dall’enorme successo sociale di stampa e tv (vedi Della Porta 2001, Ceri 2002, Pianta 2002 o Bentivegna 2002) ed, in parallelo, ancora non del tutto conscia delle enormi potenzialità connesse all’uso ed al rapidissimo successo globale di Social Networking Sites ed applicazioni Web 2.0, attribuisce alla Rete la possibilità di strutturare legami unicamente deboli o, in qualche modo, complementari rispetto alle tradizionali dinamiche dell’interazione faccia-a-faccia. Per molti di essi, dunque, la costruzione di movimenti sociali in Rete è, molto spesso, solo il coronamento di un meccanismo di costruzione dell’adesione che ritrova ancora le sue radici nella Realtà, off line. Per altri (Antenore 2005) il successo di numerosi movimenti legati alla Rete è dovuto:
a. all’enorme tasso di adesione realizzato: si veda il movimento No Global di Seattle nel 1999 o il “popolo di Genova” riunitosi in occasione del G8 per realizzare un contro-summit con finalità contestatore. In entrambi i casi non fu, ad ogni modo, la Rete ad essere l’artefice del successo, ma, l’attività di numerose ONG da tempo attive nella contestazione degli effetti deleteri della globalizzazione e della finanziarizzazione dei mercati;
b. oppure alla concretazione del cosiddetto effetto spillover verso i media main stream. Ovvero, nella capacità di riuscire ad implementare a tal punto un tema in agenda (come, ad esempio, la contestazione delle grandi potenze economiche della Terra) da farlo entrare prepotentemente tra i principali temi “notiziabili” da parte del sistema dei media tradizionali. A tal punto da riuscire ad ottenere una visibilità ed un livello di diffusione in grado sia di accrescere la credibilità/attendibilità del movimento; sia, d’altra parte, il numero dei potenziali attivisti.

Rispetto a tali presupposti, piuttosto pessimistici riguardo le potenzialità aggregative/relazionali della Rete, il presente progetto si propone, tra gli altri, l’obiettivo di analizzare specifici casi di studio nel tentativo di portare alla luce esempi di successo/insuccesso di movimenti sociali dotati delle medesime caratteristiche sopra elencate, ma, nati integralmente in Rete e, solo successivamente, oggettivatisi in forme di mobilitazione off line. Da una parte, dunque, saranno tenute ben presenti ed analizzate a fondo le caratteristiche tradizionalmente attribuibili alle applicazioni Web 2.0 (su tutte: la funzione informativa, la strutturazione naturalmente ramificata, le dinamiche di sharing/creating contents e l’abbattimento sensibile di tempi/costi). Dall’altra, al contempo, si cercherà di mettere in luce, mediante un approccio fenomenologico a casi specifici, quanto e come la Rete sia anche in grado di alimentare una mobilitazione diffusa ed un’autentica partecipazione civile (in inglese “civic engagement”) sia on line che off line.

In modo particolare, le domande di ricerca a partire dalle quali si articolerà il progetto sono le seguenti:
- Com’è possibile la nascita di un movimento sociale nell’ambito di uno o più social network?;
- Quali sono le scelte di ordine strategico/logistico alla base della selezione di una o più piattaforme neomediali cui affidare la propria missione pedagogica e informativa ?;
- In che modo germoglia e s’implementa l’organigramma di un movimento sociale?;
- Quali sono i criteri in base ai quali (sociali, di classe, d’appartenenza al territorio, riferibili ai contenuti) si sviluppano i nodi intesi come unità minime costituenti un movimento “a rete” ?;
- Quali sono le dinamiche (interne, esterne o ibride) attraverso cui si delinea l’agenda di riferimento e, dunque, si materializza il relativo processo di newsmaking ?;
- Cosa s’intende, in questo nuovo scenario, per partecipazione politica e quali sono i modi tramite cui si oggettiva ?;
- Quali sono i criteri in base ai quali vengono stabilite specifiche priorità operative, definite e ripartite competenze e responsabilità ?;
- Che livello di coordinamento esiste tra il modus operandi di determinati nodi costituenti “la base” del movimento e la/le strutture centrali di raccordo (se esiste)? Come si oggettiva?;
- Che tipo di relazione esiste tra le forme di auto-coscienza del movimento e quelle di etero-rappresentazione provenienti dai media “main stream” intesi come realtà sistemica?
- Quale linea evolutiva caratterizza le varie fasi dell’esistenza di un social movement (orientamento all’azione/adesione o, al contrario, all’auto-celebrazione/organizzazione in altri)?
- Che tipo di relazione esiste tra la dimensione e la semantica grassroots del movimento ed il sistema delle istituzioni partitiche ritenuto, da sempre, il naturale interlocutore dei movimenti sociali, più spesso noti come “movimenti antagonisti” ?.




Metodologia

La mole di dati presenti in Rete ed, in buona parte, etichettato ed organizzato secondo specifiche variabili nell’ambito dei social network (Facebook, Twitter piuttosto che Flickr) se, da una parte, configura tali applicazioni come veri e propri “aggregatori naturali” di soggetti e relativi prodotti; da un punto di vista tecno-scientifico, impone l’impiego sinergico di strumenti d’analisi qualitativi e quantitativi. Nonostante siano evidenti problemi e rischi che porta con sé ogni indagine che voglia utilizzare dati di questo genere (legati, ad esempio, alla selezione di un campione a partire da una popolazione precedentemente delineata o, piuttosto, alle difficoltà che si potrebbero incontrare nella semplice traduzione in termini statistico-rappresentativi di dati ottenuti dall’osservazione di profili e specifici comportamenti on line) d’altra parte, l’individuazione di un determinato caso di studi, connesso alla possibilità di sfruttare un bacino dati ancora poco inutilizzato a scopo d’analisi scientifica, consentirebbe di circoscrivere il raggio d’azione e di implementare una metodologia di ricerca sensata ed in grado di produrre risultati comunque attendibili. Concentrando, anzitutto, l’attenzione su di un canale specifico come, ad esempio, l’adozione e la tipologia d’uso di Facebook da parte degli aderenti ad un determinato movimento sociale, sarebbe possibile sfruttare i profili (personali e/o di gruppo) per condurre sia indagini di stampo quantitativo (analisi del contenuto mono e multifattoriale, tecniche di network analysis) sulla base di specifiche variabili strutturali (e coerenti rispetto ad una popolazione omogenea e ben definita a partire dalla concentrazione su di un determinato caso di studi), che analisi delle conversazioni (si pensi alla grande quantità di discussioni alimentate/condivise all’interno delle pagine di cui si compone un social network come Facebook) e del materiale audio-visuale (foto, immagini, video) individuabile/archiviabile in fase di osservazione. A completamento dell’analisi qualitativa, che s’impone come maggiormente dotata di senso rispetto all’analisi di dati così complessi e spesso difficilmente indicizzabili secondo necessità rappresentative, potrebbe risultare di un qualche interesse scientifico anche la conduzione di interviste faccia-a-faccia, focus group ed interviste biografiche con soggetti individuabili nel corso dell’analisi del singolo caso. Soggetti che, individuabili attraverso profili personali strutturati in rete, potrebbe essere selezionati in modo tale sia da completare la ricostruzione della tipologia di utenti “medi” legati ad una specifica esperienza di cyber-attivismo, che la possibilità di aggiungere elementi preziosi all’analisi quantitativa condotta sul materiale naturalmente presente in rete.

Il cattivo tempo alimenta riflessioni cattive (che non mordono niente e nessuno se non la mia coscienza!)....

Lo schifo della televisione italiana non ha più nessun confine. Il ritegno ed il contegno che, un tempo, spingeva anche i più laidi e luridi direttori di rete (e di partito) a ricercare i favori del pubblico anche attraverso una programmazione di qualità, con informazione vera, fatta da giornalisti veri oggi non esiste davvero più. La mancanza di inibizioni ad esibire schifo e questioni da salotto è la più lampante manifestazione di una assoluta mancanza di rispetto del pubblico medio del nostro paese. Non esistono quelle distanze (tra produttori e fruitori) che, forse, un tempo alimentavano una certa professionalizzazione del settore e, allo stesso tempo, garantivano informazione e programmi di autentica originalità e capaci di intercettare i gusti dei consumatori. Oggi, l’avvicinamento progressivo, il profilo da (finti) crooner assunto dai mezzo-busti dei nostri telegiornali nazionali ha reso tutto più vicino, confidenziale e scadente. Col mito per cui tutti possono tutto, la chimera delle infinite possibilità di realizzazione ha distrutto l’autenticità di un mezzo così come di quelli che vi si trovavano e trovano dentro. Ma siamo così sicuri che una democratizzazione senza confini equivalga ad una vera e generalizzata conquista di diritti? Secondo me stiamo condendo un po’ tutto con tutto. E la televisione, in questo sforzo chiarificatore, certamente ci è di intralcio più che d’aiuto. Nell’epoca della multiculturalità questa viene tematizzata (sempre dalla tv) come una trasversalità a tutti i costi, garantita e tutelata dalla legge. Ma perché? e, soprattutto, per il bene di chi? Se parla una parte, deve farlo anche l’altra. Si prendono temi storici di grande valore e li si mescola con storie personali per creare parallelismi originali. Così originali da fuorviare totalmente quel barlume di conoscenza che ancora si spera di ricavare dalla fruizione di un qualche programmino televisivo che, come un’oasi nel deserto, ancora resiste alle tempeste banalizzanti della televisione dei diritti e delle garanzie costituzionali ( che, mettendoli in forma di oggetto di dibattito sa salottino, ne smentisce e ridimensiona il valore degli uni e delle altre!). Sono piuttosto stanco di dichiararmi di una sinistra liberale se, quest’assoluta apertura, ha distrutto ogni confine, anche il più giusto e sottile. Sono stanco di proclamarmi come dotato di una giusta dose di buon senso perché questo, troppo spesso, viene confuso con xenofobia, odio della diversità, auto-alienazione, incapacità di tollerare la diversità (di discorso, di colore, di sesso, di religione). Ma certo, è ovvio. In tutto questo casino, è praticamente impossibile (oltre che di nessun significato per l’economia del sistema) tener conto e tirare ancora dentro distinzioni sottili, dialettiche di spessore. Troppo complesso, troppo lungo. Allora, è il momento in cui la globalizzazione democratizzante a tutti i costi tira dentro il suo opposto paradossale: il manicheismo facile, da fast food. Se sei di sinistra allora sei favorevole al matrimonio tra coppie omosessuali, sei per la pillola abortiva, sei vicino alle più sfegatate femministe, sei laico (al massimo, lievemente credente!), sei amico almeno di una lesbica e di uno di colore che ti lava i vetri al semaforo sotto casa. Sei favorevole alla migrazione indiscriminata. TI proclami vicino ai centri sociali e le manifestazioni violente ti piacciono, anche se non lo ammetteresti mai pubblicamente (mica sei un no-global?). Allora, tra nuovi snobismi e false indiscriminazioni diventi in poco tempo un perfetto soggetto da salotto televisivo, con tanto di bagaglio di frasi ad effetto per sorprendere gli amici in discussioni casalinghe o, al massimo, per dimostrare a tuoi un minimo di maturità intellettuale. Se sei di destra, ovviamente, è tutta un’altra storia. Poi, dopo tutto sto pippone, non riesco comunque a dimenticare l’accostamento mirabile, operato da Vespa a proposito delle leggi sull’immigrazione, tra Cota (che da cravatta verde acido è passato ad una verde culo di bottiglia quasi si vergognasse di appartenere ad una classe dirigenti fatta di ciucci parlamentari e porci governativi con tanto di ali!), Gasparri (sempre più macchietta di sé stesso) ed il critico d’arte Achille Bonito Oliva. Ma mi dite cosa cazzo c’entra un seppur rispettabile critico d’arte con dei politici e dei giornalisti riuniti per discutere di un tema tanto importante come l’immigrazione e la regolamentazione dei clandestini presenti nel nostro paese??? Vi prego, datemi una risposta di buon senso. La risposta, ad oggi, me l’ha data lo stesso Bonito Oliva che, intervenendo in proposito, dichiara che artisti, pittori e critici sono da sempre, naturalmente multiculturali. Perché? perché pittori e critici si spostano da un posto all’altro senza alcun problema, da una capitale europea all’altra. Sono aperti mentalmente, pronti alla contaminazione culturale e, in questo senso, sono precursori di un movimento che dovrebbe caratterizzare intere popolazioni. Non solo quella italiana. Ma che razza di snob è questo? DI cosa diavolo sta parlando? (ancora) che cosa c’entra? L’ho capito, ma, non voglio ammetterlo a me stesso. Le conseguenze che dovrei sopportare metterebbero a dura prova il mio cervello che, già ogni giorno, deve lavorare tanto solo per filtrare la merda presente in praticamente tutto quello che vede attorno a sé. Dentro, fuori, attorno e sopra l’università. Ma questa è un’altra storia. Forse.