Il wiki di Assange e il nanogiornalismo italiano...

Onestamente non mi sono interessato molto al caso di Wikileaks e alle rivelazioni di Assànge. Ne ho avuto notizia solo attraverso i tg nazionali e qualche articolo di giornale sparso qua e là. Ovviamente, così come tutte le notizie internazionali, anche questo caso è stato immediatamente tradotto nelle implicazioni che avrebbe potuto avere rispetto agli equilibri politici nazionali, ai timori di Frattini, agli ennesimi tentativi di minimizzare il tutto tipici di Berlusconi. Mi sono ritrovato di fronte lo stesso, stupido e miope atteggiamento che la stampa nazionale assume in occasione di qualsiasi evento di portata internazionale. Non so fuori dall’Italia come funzioni, ma, certamente non è intelligente né corretto riportare un evento sempre, immediatamente alla realtà locale cui, di fatto, esso appartiene solo lateralmente. Quando siamo impegnati in un fronte di guerra, si parla solo dei nostri morti ammazzati e mai di quelli di altri contingenti o dei civili (circa 10,000) morti innocenti sul fronte iraqueno. Quando c’è una catastrofe naturale, come lo Tsunami, si va immediatamente a cercare il morto italiano, si attiva il solito numero verde della Farnesina, l’unità di crisi, le compagnie aree, le carte d’imbarco. E così ci si dimentica del fatto in sé, delle implicazioni per le popolazioni locali, le epidemie, le famiglie distrutte, i bambini commerciati come carne da macello, le fosse comuni, l’orrore che noi tutti dovremo avere il diritto (ed il dovere) di provare di fronte ad avvenimenti raccontanti per intero, non a pezzi come di un libro stracciato. Ed il risultato più devastante è che la frustrazione, l’insofferenza diffusa verso certa informazione tarda pure ad imporsi nella società, tra la gente. Perché la conseguenza perversa di questo modo di concepire e di produrre notizie è che tutti ci ritroviamo a vivere in un mondo raccontatoci quotidianamente come positivo, senza disoccupazione, senza morti, senza crisi economiche planetarie, senza assassini, senza colpevoli. Un mondo di ovatta e garantismo, di narrazioni verosimili e ricostruzioni computerizzate. E lo si spaccia come un tentativo di coprire totalmente la realtà. Lo si trucca da giornalismo “all news”, ventiquattro ore su ventiquattro. E il travestimento, per molti, è perfettamente riuscito. Ecco. Di fronte alle rivelazioni di Wikileaks si possono sviluppare reazioni diverse, anche contrastanti. C’è chi tutela il segreto di stato, chi la delicatezza e la riservatezza di certe confessioni e relazioni internazionali. Chi, d’altra parte, si appella al diritto ad essere informati, alla libera circolazione di fatti e racconti. Io sono convinto che la reazione sdegnata della politica nei confronti dell’attività di un sito d’informazione sia la spia di una crisi di democrazia pienamente matura. I tentativi di minimizzare continuamente, applicati anche al caso Assange, rappresentano (questa è una mia sensazione) tentativi disperati di impedire che la verità di certi avvenimenti venga a galla. Tuttavia, una democrazia che si è sempre mantenuta grazie ad un meccanismo di bugia universale terribilmente preciso non è una vera democrazia. Quanto meno, è una democrazia zoppa, claudicante. La volontà di focalizzare l’attenzione dei media globali sulle vicende personali di Assànge ne è la riprova. Quel documentario che mi ha aperto gli occhi sulla vicenda (e che, com’è ovvio, va preso con le pinze) testimonia della volontà di un gruppo di persone di dire incondizionatamente, e a costo della loro stessa incolumità, la verità. Un po’ come fanno i bambini, questo gruppo di persone si è stancato di sentire bugie, di ingoiare mezze verità. E, per certi versi, sono stati mossi dalla stessa stanchezza mista a indignazione che oggi attraversa la vita (non solo da cittadino) di ognuno di noi. Dalle scelte politiche a quelle d’acquisto percepiamo come una realtà sempre più stringente, soffocante il fatto (oramai divenuto salda convinzione) che non ci venga detto tutto. E che quello che ci viene detto e, molto spesso, frutto di un riferimento ideologico-politico che non solo condiziona ma, almeno nel nostro paese, detta in prima persona le regole anche dell’agenda dell’informazione nazionale ed internazionale. In Italia si è detto poco o nulla a proposito delle torture ancora oggi perpetrate dai militari americani in Iraq e nei fronti di guerra in cui è impegnata. Si è detto poco o nulla sulle relazioni personali tra Berlusconi e Putin, Berlusconi ed i presidenti di Tunisia, Algeria, Libano ed Egitto. SI è saputo poco o nulla sui particolari legati alla soluzione della vicenda Alitalia che ha condotto alla costituzione di una cordata d’imprenditori italiani a capo di una nuova compagnia aerea. Cordata che, non si sa ancora bene come, ha messo improvvisamente fuori gioco AirFance. Si sa poco o nulla delle circostanza in cui è morto Matteo Miotto di soli 24 anni (io li ho superati poco tempo fa…)o, andando più indietro nella storia della guerra, di Nicola Calipari. Detto questo, io non guarderei con dispiacere a delle pesanti rivelazioni riguardanti l’Italia. Potrebbero farci da sveglia visto lo stato simil-comatoso in cui versiamo ormai da due anni. D’altra parte, temo che nemmeno questo possa essere capace di darci uno scossone. Abbiamo un sistema informativo che è legato alla politica in maniera viscerale. Per cui, il sistema non solo è ben oliato ma anche secolarizzato. Là dove Wikileaks è stata capace di modificare equilibri internazionali e politiche interne, in Italia passerà nei titoli di coda del Tg2 insieme all’ennesima bambina stuprata o scomparsa. Sono sinceramente stanco e mi sento estremamente frustrato nel non riuscire a trovare un modo alternativo, sano, autentico di conoscere quella enorme fetta di realtà che non posso toccare con la mia mano…