Mi sono ritrovato a parlare d'ammmore....

Qualche giorno fa mi sono inaspettatamente ritrovato a chattare riguardo un argomento piuttosto ostico e non proprio adatto alle conversazioni mediate dai social network: l’amore. E mi ci sono ritrovato dentro a causa mia. Tra l’altro avevo come contro-parte proprio la persona che avrebbe dovuto darmi le risposte decisive ma a cui, come ogni manuale del pirla innamorato insegna, non avresti mai e poi mai dovuto chiedere. Il manuale insegna l’orgoglio, una (finta) indifferenza latente, strategica. Mica c’è scritto che bisogna chiedere per avere. Almeno in amore le cose, spesso, non stanno proprio così. Se fossero lineari, allora, saremmo tutti felici e nessuno soffrirebbe per un “no” o un inganno ben ordito (magari con la cinica complicità di un altro/a terzo/a incomoda/o!). Insomma. Mi chiedevo se decidiamo noi come e di chi innamorarci e quanto sono, invece, le circostanze che ci portano a trovare seducente una persona piuttosto che un’altra. Mi chiedevo, allora come ora, se non fosse la necessità di star assieme ad altri essere umani, le cui lusinghe ed attenzioni ci fanno sentire coccolati in un determinato momento della nostra vita, la vera colpevole di amori più o meno transitori, ma, comunque falsati da uno stato di necessità, di bisogno. La posizione del mio interlocutore era piuttosto smart, sciolta a riguardo. Stai con una persona se ti va, non ci stai se non ti va, per dirla in soldoni. Ma su questo tipo di atteggiamento, soprattutto nei confronti dell’amore o della voglia (reale o presunta) di sviluppare una relazione c’andrei un pò più coi piedi di piombo. D’altra parte, anche gli incontri casuali o i ri-incontri a distanza di tempo di persone che, un tempo, non ci dicevano nulla, ma, che rivisti dopo un po’ ci ispirano strani pensieri benché queste, da parte loro, non siano affatto cambiate- Che giochi strani che ci tira la nostra testa. E in quanti modi sorprendenti è capace di alterare il nostro modo di guardare le cose e le persone (guardare non come un’intellettuale “sguardo della mente”, ma, proprio come osservazione di ciò che ci attraversa o ci si para di fronte!). Non so il preciso motivo dell’avvio di questa conversazione (tra l’altro, piuttosto complessa e senza vie d’uscita definitive). Forse la paura di innamorarsi della persona “sbagliata”, ma che significa sbagliata poi quando ci si innamora?. Sbagliata, magari, per dire che ci si accontenta invece di cercare, cercare, cercare. Di questo, almeno, abbiamo una precisa consapevolezza. Sappiamo ben distinguere l’innamoramento profondo, quello che ti succhia i pensieri, dalla semplice ammirazione estetica, da una serata di sintonia, ecc. ecc….Su questo dovremmo aver tutti sviluppato dei criteri, più o meno solidi, di distinzione. Il problema è che, a questo punto, c’è chi se ne fotte e chi ci si arrovella attorno. Ed ognuno giudica sbagliata la scelta dell’altro. Sempre. Con questo non mi illudo di vivere né, tanto meno, di aver vissuto solo degli amori profondi, importanti, completi. Anzi. Forse faccio tutti sti ragionamenti proprio perché sto ancora aspettando che un amore del genere prenda fissa dimora nella mia vita. Intanto mi confronto, con gli altri e con me stesso. Chissà che da uno dei due non venga fuori la mia medicina….

Urbino città(senza)campus.....

Sarà che sto periodo di lauree ha rallegrato questo ridente paesino. Addirittura stamattina il termometro segna la bellezza di 12 C....la temperatura più alta registrata negli ultimi due mesi. Gente festante, mamme piangenti, papà distrutti da ore ed ore di guida per ricevere una soddisfazione di non più di 15 minuti...oggi è iniziato davvero tutto bene. Sole, allegria, buon umore. In effetti, c'è da ammettere che almeno una settimana ogni quattro mesi questo posto non solo sembra una cittadella universitaria (voglio dire frequentata anche da studenti universitari!!), ma, anche una cittadella universitaria felice che si scrolla di dosso il proprio grigiore, quell'umore tra lo strano ed il vagamente triste che attraversa tutte le tue giornate. Sembrava il primo giorno in una nuova città..sono stato bene. Vorrei sforzarmi di trovare e magari argomentare una sentenza, anche solo una semplice nota negativa, ma, non ne ho voglia. Non mi sento mezzo vuoto oggi, direi proprio di no. Però, tornando ad Urbino, sto riflettendo su una cosa che stamattina, durante le lezioni del dottorato, è stranamente sgorgata da quell'inesauribile fonte che è il professor Valli. Discettando a proposito della necessità di una efficace campagna pubblicitaria di essere sostenuta da un buon prodotto o, quanto meno, da un prodotto dotato di qualità reali, esistenti, esperibili. Ebbene, durante l'illuminante lezione il professore ci ha portato come esempio il caso di "Urbino città-campus", slogan che campeggia sul portale d'ateneo e su buona parte della pubblicità con cui questa università cerca di costruirsi una faccia seducente tanto da ammaliare ogni anno qualche gruppo di giovani studentelli, inesperti ed incapaci di leggere la verità di una realtà al di là delle sue "semantiche di superficie" (lo so...è un pò un'ossimoro!). E, in effetti, il prof. c'ha preso abbastanza perché da quando sono quì ho elaborato qualsiasi forma di lettura possibile di questo posto, ma, ho sempre mancato di notare che, oltre tutto, è anche ciarliero e fintamente dipinto come "villaggio felice di studenti". Non è vero. C'hai preso Valli. Questo posto è un grande inganno, si regge sulla (falsa) garanzia di fornire a chi vi verrà un posto accogliente, ricco di stimoli, in cui gli studenti vivono in ambienti d'interazione costante..un posto dotato dei migliori confort, insomma, un vero e proprio campus universitario..Nel portale d'ateneo non si può certo dire che gli studenti vengono trattati come cittadini di serie B dagli stessi cittadini di serie B che sono proprio gli urbinati. E che tra loro, certamente i più caini sono gli affitta-camere. Ladri e pesce-cani a briglia sciolte che agiscono dietro la compiacenza tacita delle istituzioni da una parte, degli studenti silenziosi ed assonnati che non protestano, non denunciano. Non è un campus quello che offre una scelta ridimensionata di posti dove svolgere attività culturali, un posto che si regge solo sulla libera auto-organizzazione di studenti più o meno volenterosi, ma, spesso politicizzati e politici in miniatura (una cosa che, vi assicuro, fa rabbrividire persino me che non passo certo per essere un raffinato). Non è e non fa campus un posto in cui si alimenta nient’altro se non un pendolarismo spinto che non consente di valorizzare le migliaia di opportunità (economiche, turistiche, professionali,culturali, umane, di ricerca) che risiedono in un posto che condensa in pochi chilometri migliaia di studenti. Non è un campus un posto in cui a comandare davvero ci sono politici da quattro soldi tra le strade della città e baroni con vizi auto-celebrativi tra le nostre cattedre, di fronte a noi, sopra di noi. Valli, dunque, aveva ragione. Si. Ma c’è dentro fino al collo in questa negligenza di massa. Un campus io lo immagino diverso. Vivace, dinamico, libero, ben integrato al suo interno. Si dice sempre che bisogna “fare rete” per mettere in contatto diverse istituzioni e farle funzionare in sinergia. Università, istituzioni politiche, valorizzazione turistica del territorio, sui giovani, creazione di un indotto vero il mondo del lavoro. Il campus è un posto che sviluppa il confronto, ma, che è anche in grado di alimentare speranze, sviluppare opportunità. Se dovessi giudicare questo posto dal modo in cui si gestisce a livello “macro” direi che, non solo sta fallendo nel tentativo di trovare una sinergia inter-sistemica, ma, che ha certamente già fallito la scommessa più grande: rifiorire come luogo in cui risiede una cultura centenaria ed una università che, almeno un tempo, era capace di infiammare animi ed accendere passioni degli studenti che la frequentavano vivendola. Tutti i giorni e senza aver voglia di scappare. Questo posto, ad oggi, fa venire voglia di scappare.

Oggi pensavo......ad oggi!


Esistono persone che impostano la propria vita sulla capacità di farsi scivolare le cose di dosso. Anche le più brutte. Persone orientate al fine, che non badano al mezzo. Della serie “costi quel che costi..”. Esistono, poi, altre persone che campano su rendite di posizione, cullandosi in parte su quello che si è fatto in tempi ormai lontani, in parte, su tutti quelli che nel tempo si è riusciti a “conquistare”. Il Re che guadagna pedine degli scacchi, rivendicando il proprio potere, oggettivandolo nelle cose che possiede. Nell’accondiscendenza delle persone che sottomette. E la cosa, forse, più brutta di tutto sto meccanismo è che è proprio un cane che si morde la coda. Non se ne esce. Un Narciso che si specchia nel fiume e non riesce a distogliere lo sguardo dalle sue sembianze. Troppo bello, troppo affascinante, troppo seducente per potersene distaccare. E allora?. Allora tutto scorre, si riproduce. L’autopoiesi di un potere che chiama altro Potere. E quando credi che la tua vita sia, anche quella, una riproduzione di meccaniche più o meno note in cui, a cambiare, sono le persone e/o l’ambiente, il teatro del loro svolgimento t’accorgi che non hai ancora visto tutto. E che, forse, non hai ancora subito tutto quello che la vita ha in serbo per te. Non voglio fare il romantico e nemmeno il nostalgico dei bei tempi andati. Magari ce ne sono in programma di molto migliori. Per ora, prendo solo atto del potere di determinate cose, persone, situazioni di indebolire convinzioni, energie, desideri. Un po’ come l’aspirante ricercatore che, dopo tanti tentativi andati male e perennemente stressato dalle logiche dell’ambiente, decide di scambiare la sua dignità o, peggio, la sua libertà per ottenere finanziamenti o magari il proprio nome in calce ad un progetto di ricerca. E chi ci troviamo dall’altra parte, al centro esatto dell’ambiente?...Il Potere, di nuovo. Non c’è niente da fare, mi dicono, se vuoi libertà devi guadagnartela. Se aspiri a realizzarti devi acquisire furbizia ed anche un pizzico di superficialità. Questi gli ingredienti per superare con astuzia le difficoltà della vita, della professione. Sono nato e cresciuto in posti, tra persone che mi hanno sempre riempito la testa dicendomi che le cose sarebbero rimaste così, per sempre, che nulla sarebbe servito a cambiarle. E, proprio per questo, sono cresciuto con un inveterato odiato verso l’accettazione acritica degli status quo, verso ogni forma d’inerzia intellettuale. Ci metto poco a capire le logiche del potere (sono cresciuto nel mezzo di un coacervo indistinto di poteri!), ma, ci metto tanto (forse troppo) ad adattarmi alle necessità di un potere. Specie di quello che campa di rendita. Qualcuno capirà quello che sto scrivendo, qualcun altro si limiterà ad usare queste parole per rileggere esperienze personali, la propria quotidianità magari. Quella quotidianità in cui forse troppe persone sono talmente affondate da non riuscire più a distinguere il bene dal male, ciò che è giusto da ciò che non lo è. L’obiettività non esiste, ci mancherebbe. Ma in nostro soccorso subentra immediatamente (almeno dovrebbe) il buon senso, il rispetto, la comprensione. Magari sono proprio io a non conoscere il significato reale di queste parole, a non applicare la sostanza di ciò che rappresentano. Se fino ad ora non l’ho fatto, me ne scuso. Mi scuso con tutti coloro a cui ho reso triste la vita o anche solo una giornata. Ma solo oggi mi rendo conto di cosa tutto questo significa. Tuttavia, non sono così ingenuo da credere davvero che ci sia un meccanismo virtuoso per cui, visto che chiedo scusa e faccio ammenda, allora devo aspettarmi che gli altri lo facciano con me. E magari che il mondo diventi un posto migliore perché ho iniziato proprio io a dargli una ripulita. Macchè. Il mondo è tutta un'altra storia. Altro che schiavi ed ombre nella caverna. A volte, mi spaventa l’idea che sia tutto molto peggio. Chiedo scusa anche di tutto sto pessimismo cosmico, alla lunga annoia. Immagino. Ma mi gira così. Proprio così…Spero sempre che un possibile altrimenti mi risollevi. Sperare troppo, però, fa male al cervello. Anche questo l’ho imparato oggi.

Eyesofthefuture mi provoca. Io rispondo.

Dopo tanto tempo passato dalla calda estate di Modernity 2.0, a mio fratello viene in mente di lincarmi all'interno del sito che, in teoria, dovrebbe lanciare la sua iniziativa editoriale. Dico "in teoria" non perchè mio fratello non sia bravo e/o capace nel mettere per iscritto pensieri, idee e quant'altro di buono il suo cervello sia capace di produrre. Resto sul piano dell'ipotesi perchè, come il futuro ancora incerto e dai contorni sbiaditi di cui lui stesso parla nel libro in uscita, il futuro stesso dell'editoria è fortemente messo in crisi da un presente claudicante e dalla miopia di quanti (molti) credono che social network, blog, wiki e siti siano qualcosa a metà strada tra la diavoleria e la moda che, come tale, viene marcata come passeggera, in divenire. Di là da venire. Invece, sono fortemente convinto che, innanzitutto, l'editoria finchè resterà legata ad un modo tradizionale, verticale, di concepire le dinamiche di produzione-fruizione-consumo mediale avrà una vita corta e triste. Tanto più quell'editoria ciana e pesce-cane che si aggrappa alle speranze di giovani scrittori in erba, rubandone il talento e le risorse. Non solo finanziarie. D'altra parte, sono fermamente convinto che social network e piattaforme per l'interazione de-intermediata tra utenti non solo avranno vita lunga ed un rigoglioso futuro, specie tra le giovani generazioni, ma, che questi strumenti presto, molto presto, diverranno, allo stesso tempo, ambienti forniti di tutti gli strumenti necessari all'agire comunicativo (programmi di scrittura, elaborazione dati, creazione di presentazioni, ricerca on line, ecc...) e vere e proprie protesi in grado di essere percepite (ed essere) come parte del nostro corpo, fin quando saremo connessi ad altre vite, ad altri corpi. Ovvero, sempre più spesso. Con sempre maggiore frequenza. Il mito della "produ-fruizione" si materializza quì, oggi, nelle parole che scriviamo, nei commenti che postiamo sul "wall" di Facebook. La produ-fruizione è la capacità di agire, in libertà e senza filtri all'entrata, sui contenuti propri e/o elaborati da altri, per altri. Ed è presente in una quantità di cose che nemmeno immaginiamo. Facebook è solo l'iceberg di questo modo di vivere e rappresentarci il mondo. In una dialettica continua, in cui ci rassereniamo nell'appoggiarci alle rappresentazioni altrui e/o incazziamo nel vederci criticati da qualcuno di cui non conosciamo nemmeno bene la vita, il pensiero. Molti detrattori ritengono che tutto ciò sia incapace di produrre effetti nella realtà, ma, solo effetti di realtà (alludendo a dinamiche di imitazione/emulazione del reale). Ma quì, in rete, non sta accadendo nulla di classicamente reale. Viviamo nuove frontiere, nuovi spazi. Persino le persone che conosciamo benissimo, attraverso le loro foto o i post inseriti in un blog o una semplice discussione in chat si mostrano diversi, altri. Dunque, solo comprendendo il valore di tali esperienze, esperienze di alterità, che tutto, l'editoria, gli utenti più ingenui, io e voi possiamo iniziare a guardare al futuro con maggiore chiarezza di idee (e di prospettive). Questo immagino sarà il compito, anzi, la missione verso il futuro che mio fratello tenterà di realizzare. Mio fratello che, proprio attraverso blog, siti e social network, scopro essere anche qualcos'altro. Un' identità multipla. Una umanità che vede divanti a sè crollare, uno dopo l'altro, i limiti alla sua espressione.....Tutto ciò mi lascia una immagine molto nitida del futuro. Un futuro che ora vedo diverso, ad ampie corsie. Attraverso gli occhi di Fabio..La Rete sembra avere nella sua innata pulsione verso la libera d'espressione qualcosa in comune con l'arte.
L'arte, con ogni probabilità, potrà trovare nuovi stimoli affidando alla Rete parte del proprio destino evolutivo....