U2, Torino....quante emozioni!!.....

Ma secondo voi cosa si può provare alla visione di un gigantesco polipo, alto circa cinquanta metri, capace di sovrastare la struttura di uno stadio che, per quanto alta, sembra una costola di quella enorme impalcatura. Si, era una specie di grosso polipo piantato su quattro gambe altissime e completamente foderate di casse. In quel palco c’erano casse di dimensioni e forme che non avevo mai visto in vita mia. Uno spettacolo totale, un sound 5.1, un’esplosione di polifonie. Incredibile. Io e mio fratello eravamo in curva Sud, dalla quale potevamo vedere tutta la passerella che avrebbe condotto Adam, Larry, Bono ed Edge dritti dritti al palco. Palco?....diciamo all’installazione, anche se mi sembra ancora riduttivo. Quella specie di retro-palco, fino all’arrivo della band, era attraversato da una vera e propria marea multicolore di operai, tecnici, guardie di sicurezza, polizia, carabinieri, croce rossa, pompieri. Da questo enorme e frenetico andirivieni si riusciva a carpire la sensazione netta che qualcosa di unico stava per accadere sotto i nostri occhi. L’altro elemento in grado di restituire la stessa sensazione era il fischio incessante di macchine e camionette delle forze dell’ordine che, sin dalle prime ore del giorno, hanno iniziato a strombazzare a tutta velocità proprio sotto il nostro albergo. Poco distante dallo stadio Olimpico. Una intera città mobilitata, trasporti e mezzi pubblici canalizzati per una giornata. Percorsi stradali bloccati e deviati, tendopoli allestite al momento, pranzi improvvisati negli spazi di verde pubblico. Una città letteralmente trasformata da un evento della durata di poco più di due ore. Sarò pazzo, ma, per me tutto questo ha avuto ed ha un fascino incredibile. Sono quelle sirene di primo mattino che, miste all’emozione incontenibile, ci fa svegliare piuttosto presto. Colazione, preparazione, scorte d’acqua e via alla volta dello stadio. I primi duecento metri siamo praticamente soli. Poi, come in una gag televisiva degli anni cinquanta, vediamo un nugolo di persone imitare i nostri movimenti, imboccare le stesse strade. Sbirciare sulla cartina della città esattamente nello stesso momento in cui lo facevamo noi. Si iniziava a respirare l’eccitazione per il concerto. In pratica, arriviamo nei pressi dello stadio che siamo in cinque e, in pochissimo tempo, diventiamo amici di una coppia romagnola con cui ci scattiamo delle foto quasi fossimo amici di vecchia data. Ed è una sensazione di condivisione assolutamente straordinaria. Ci si guarda gli zaini, ci si consulta sui prezzi di acqua, sciarpe, magliette, felpe, birre sfuse o in bottiglia. E ci si parla guardandosi negli occhi e quasi giocando a cogliere le emozioni uno dell’altro. Qualcosa che tradisca quel dialogo fintamente lucido e lasci trasparire l’emozione, la follia dell’attesa estenuante, il calore della passione. Riusciamo ad entrare intorno alle cinque del pomeriggio. La salita delle scalinate ci gioca un brutto scherzo. Appena superata, ci svela la struttura mastodontica. I colori, l’architettura, la grandezza rispetto a tutto il resto è capace di lasciarti immobile per almeno cinque minuti. Muto, fisso. La tua mente lascia ancora per una volta la follia delle emozioni e ricomincia a ragionare. Calcoli il numero dei giorni necessari alla messa in piedi del mostro. Lo dividi per il numero di persone impegnate nella costruzione. Aspetta, dividi?. No, riparto. Pensi a quando hai sentito al tg che loro erano a Torino da due settimane circa. Allora, pensi che tutto sto circo sia arrivato con loro. Ma non riesci nemmeno a credere all’idea che quella bestia sia stata tirata su in due settimane. Ma che ce ne siano volute almeno tre, forse quattro. Non ci credi e ti strofini gli occhi. Un po’ per il caldo che ti appiccica le palpebre, un po’ come hai visto fare nei cartoni animati quasi a volerti risvegliare da un sonno magico. Allora, avanzi la tesi dell’assemblaggio. E mi divertivo a pensare come ogni pezzo potesse incastrarsi con tutti gli altri. E dietro quel lavoro mentale da Ikea, cercavo di delineare i tratti di colui ( o coloro!) che avevano pensato e realizzato una cosa del genere. E, alla fine, il tumulto di pensieri ed emozioni offuscava ognuno di questi tentativi. Ci voleva una calma riflessione che non avevo il tempo di concedermi. Non volevo concedermi. Non era quell il momento. Bisogna essere presenti con tutti i sensi a disposizione. Odorare, guardare, catturare con la mente ogni sensazione, ogni sequenza. Ogni piccolo particolare da portarsi dentro. Cartella “concerto U2”, sotto-cartella “cose assurde da non dimenticare - palco”.
Tutto quello che ha avuto luogo in quelle due ore, a dire la verità, non lo ricordo proprio benissimo. Ma so per certo che ho cantato a squarcia gola. I miei occhi saltavano dal gruppo, ai megaschermi, alle persone attorno a me. Visto da fuori sarei sembrato un matto. Magari quella sera lo ero diventato davvero, per un po’. Insomma, tutto il resto non saprei davvero come scriverlo. Dovrei pensare ad un misto di odori, clip video e audio, pezzi di canzone. Creare una sorta di collage di umori per restituire quello che ho vissuto. Ma, forse, meglio di ogni altra cosa, lasciare a voi ed alla vostra immaginazione il proseguo della narrazione, dopo aver messo in gioco gli elementi di contorno, credo sia la cosa più giusta.
O, almeno, così sento di dover fare!!....