Urbino, il golf da spiaggia, l'immagine: quando Leonardo DiCaprio, Aida Yespica, la Tim e il bagaglino penetrano nell'ateneo

E’ oramai sotto gli occhi di tutti che praticamente tutti gli atenei italiani stanno perdendo progressivamente iscritti. Sarà colpa della crisi economica che accorcia i tempi di ingresso nel mondo del lavoro. Sarà colpa delle famiglie che spingono verso l’autosufficienza (effetto “anti-bamboccione!!” da pressione massmediatica!) dei propri figli. Magari è genericamente colpa della società intesa come quell’insieme di istituzioni sociali (la scuola, la famiglia, l’università, una volta anche i partiti) che assieme avrebbero dovuto lavorare alla crescita virtuosa delle proprie, giovani risorse. Verso la costituzione di una nuova classe dirigente che assicuri il perpetuarsi di certe strutture, in parte essenziali per l’evoluzione di una comunità. Ma quando ad essere sacrificato sull’altare di una evoluzione sociale (ed economica) incontrollata è proprio il contetto (e la relativa pratica) della comunità. Viene da sé che tutto il resto va molto velocemente a rotoli. Ed ho un costante senso di angoscia verso una vita che, in parte mi sembra evolversi sotto l’effetto devastante e distorcente delle menomazioni prodotte su di me dalla società; dall’altra, faccio fatica a vedere un futuro per me e per chi è più giovane di me nell’ambito di una società in cui la classe dirigente ha deciso di palesare e schifosamente pubblico quel meccanismo con cui ha perpetrato sempre e solo i cazzi propri!!!...Non c’è futuro. Ci viene risposto che il futuro dobbiamo crearcelo. Quando cambi i connotati di una realtà e, come se non bastasse, ti fanno partire con tanto di handicap. Allora crearsi un futuro assume i tratti di qualcosa di miracoloso!!..Oggi, diciamoci la verità, avere un barlume di prospettiva ti rende un fortunato, un eletto. Per quanto tu possa essere in gamba, intelligente, onesto. Sarai (quasi) sempre e solo un fortunato. Uno che è riuscito in un momento storicamente duro, durissimo. A livello economico, sociale, relazionale, politico. Ma vorrei tornare al discorso sulle istituzioni. E, in modo particolare, al problema delle università. Ho detto prima di un calo endemico di iscrizioni. Nonostante tutto (crisi economica, scolarizzazione in calo, analfabetismo di ritorno), il dato mi ha scioccato. Un vero e proprio dimezzamento. E mi ha stupito ancora di più pensare che la batosta è arrivata proprio nel momento in cui gli atenei sembrano aprirsi alla comunicazione verso l’esterno. Cioè, proprio nel momento in cui (almeno alcuni atenei) sembra si stiano aprendo ad un modo alternativo di comunicare al proprio pubblico di riferimento. Studenti, docenti, potenziali matricole. Abbandonando, allo stesso tempo, quel modo di interagire farraginoso e contaminato dalla burocrazia, tipico delle pubbliche amministrazioni. La strada intrapresa avrebbe fatto sperare certamente in qualcosa di meglio. A questo punto, dunque, il problema genera un bivio. Ossia: o gli sforzi comunicativi compiuti fino ad ora non sono stati sufficienti in termini di risorse impiegate ? oppure, in alternativa, ciò che si è fatto lo si è fatto non solo di rado, ma, fondamentalmente male ?.....Perchè se è vero che le famiglie, la crisi e tutto il resto hanno scoraggiato il proseguimento degli studi che è pur sempre un grosso impegno economico; è vero pure che le università, dalla loro, hanno perso certamente appeal. Sia perché non rappresentano più il volano verso un ingresso “sicuro” nel mercato del lavoro (le distinzioni nelle relazioni socio-economiche di poco tempo fa erano regolate anche dalla variabile costituita dal titolo di studio. Oggi la cosa è evidentemente sfumata); sia perché non sono più in grado di garantire una formazione adeguata alla costruzione di figure professionali dotate di spessore, di reali competenze. Ma qui bisognerebbe aprire un capitolo che parte dalla politica economica del governo in materia di istruzione, università e ricerca (vedi blocco del turn over per le assunzioni nei prossimi tre anni..) per arrivare fino alle più recenti riforme dei corsi di laurea che hanno applicato la logica del “copia e incolla” a dei percorsi formativi. Realtà che meritavano certamente una maggiore attenzione ed una quota notevole di buon senso. Si ha pur sempre nelle mani la vita di interi generazioni di professori, ricercatori che spendono la loro vita per far progredire un ambito scientifico. In alcuni casi, si è determinata l’evoluzione di alcuni settori dell’economia e dell’industria del nostro paese. In cui si fatica ancora tantissimo a capire che la ricerca rappresenta un anello di congiunzione essenziale tra l’industria, la società e quanto c’è di buono e virtuoso all’interno dell’accademia in cui, accanto ai baroni, ci sono migliaia di quelli che un giornalista di Repubblica ha definito qualche settimana fa “i collaboratori invisibili” che, ad oggi, tengono in piedi alcuni dipartimenti. Facendo ricerca, didattica, partecipando a convegni. In sintesi, prestando il loro nome, la loro competenza e la loro stessa vita per far crescere ed implementare il lustro di atenei ancora troppo spesso irriconoscenti nei loro confronti. Tornando al problema dell’appeal. Si comunica evidentemente male, ci si affida alle soluzioni più innovative del marketing, ma, senza la ben che minima sensibilità verso i mezzi, i contenuti, i pubblici di riferimento. Un po’ come l’ondata di comuni e province che, all’incirca un anno fa, hanno aperto canali su YT e profili pubblici su Fb così, per inseguire la moda del momento. Senza badare alla necessità di dover cambiare il linguaggio adottato fino a quel momento. Sviluppare una semantica omogenea al mezzo tecnico adottato. In fin dei conti è una scoperta non proprio recente che ogni mezzo necessita di un proprio registro. Ebbene, con la Rete si è creduto a lungo di poter baypassare questa consapevolezza sedimentatasi nella storia dei media (vecchi e, dunque, nuovi!). E ci è, quindi, lasciati andare ad operazioni promozionali scellerate, costosissime ed inefficaci. Quando il nuovo che avanza si scontra col vecchio, certe volte vecchissimo!! L’ultima di queste minkiate (mi si passi il termine tecnico) in ordine di tempo l’ha prodotta proprio l’ateneo in cui lavoro, all’alba del periodico restyling della propria immagine pubblica. Ovvero, nell’ambito di una campagna di promozione inter-regionale, ha deciso di finanziare (e, dunque, di promuoversi) attraverso l’istituzione di un “beach golf tour”. Si, è proprio quello che ho scritto. Un tour di golf sulla spiaggia. Quando avevo sentito dell’idea, ero già sconvolto. Ma quando, pochi giorni fa, mi è stato inviato il programma completo, con tanto di date e località che ospiteranno le tappe, premi e regolamenti. Lì non ho veramente capito più niente. Oscillo tra il confuso, l’angosciato, l’incazzato e lo schifato. Ma come è possibile credere che un beach golf tour rappresenti un investimento promozionale capace di produrre un ben che minimo ritorno? Poiché immagino che chi ha sborsato, lo ha fatto sulla base di un margine di rischio, ma, anche di guadagno!! E, poi, cosa cazzo c’entra un torneo di golf su spiaggia con un ateneo che ha fatto la propria fortuna sul fatto di essere una piccola realtà arroccata su di una collina ad 800 metri sul livello del mare ? E, ancora, promettere premi, profumi e bambole a dei ragazzi come può fugare le loro incertezze sul corso di laurea da scegliere, piuttosto che sulla sostenibilità economica di una scelta già così importante come la carriera universitaria? Lo si farà tra un mojito, un lancio di magliette ed un colpo di mazza?
Cosa sta diventato l’università quando si comporta come il Free music festival? Oppure, organizza un tour come quello della Tim che sfrutta l’immagine dei ragazzi del programma tv “Saranno famosi”? Dov’è (se ancora esiste) il confine tra queste forme promozionali tipicamente televisive e spettacolari e ciò che accade in realtà istituzionali che dovrebbero, a rigor di logica, sviluppare una preparazione almeno complementare rispetto a quanto “apprendiamo” dai mass media (del tipo “con la tv mi intrattengo e fondamentalmente cazzeggio. Con l’università dovrei crescere a livello intellettuale, come persona!). Il non vedere più certe distinzioni mi mette una gran paura. Ma mi angoscia ancor di più assistere alla dinamica sonnolenta e narcotizzante per cui nessuno (specie all’interno dell’università intesa come “mondo accademico”) si sbatte, urla e manifesta per rivendicare l’esistenza e la giustezza di certe distinzioni.
Distinzioni legittime come quella, ad esempio, nei confronti del mondo dello spettacolo!.....

Facebook, FriendFeed, la cinghialata, le relazioni..ci pensavo un pò...

E’ davvero interessante il modo in cui, proprio attraverso un social network, sia possibile incontrare persone con cui riesci a condividere una visione delle cose che, fino a poco prima, ritenevi fosse tua e di pochi altri. Una ironia ed un modo di affrontare ed interpretare la realtà. Insomma, un livello di condivisione del mondo assolutamente inaspettato. E’ un po’ come una eugenetica delle relazioni sociali. Sviluppi una personalità, cresci, riesci ad implementare un modo (che ritieni personalissimo) di osservare la realtà che ti circonda. E, alla fine, affidandoti ad un social network, riesci a filtrare conversazioni (ed esseri umani) fino ad incontrare proprio quelle persone, che da tutta un’altra parte, hanno sviluppato un percorso parallelo al tuo. Giungendo, come se non bastasse alle tue conclusioni. E lo scopri da subito, nelle piccole battute come nelle conversazioni serie ed apparentemente impegnate. E non puoi che rimanerne sorpreso. Tra in contento, il confuso ed il rattristato se mi fermo a pensare a come la casualità degli incontri venga un po’ messa da parte proprio a vantaggio di una sempre maggiore possibilità (ed apparente libertà) di selezionare la conoscenza, di prevedere la relazione. Non so ancora esprimere un giudizio netto sul potere (malefico o venefico) dei social network in questo senso. Ma, d’altra parte, so per certo che riuscire ad approfittare di un mezzo per aumentare le proprie potenzialità relazionali attraverso la condivisione e la conversazione attorno alle cose del mondo (dal cinghiale al Varnelli alla disoccupazione giovanile in Italia…) costituisce un’indiscussa fonte di crescita. Per l’uomo, per la società e ci metto anche per la qualità delle relazioni umane. A patto che, in tutto ciò, prevalgano ragione, capacità di uso (e giudizio) e buon senso. Perché, per quanto potere possa e potrà mai avere l’interazione mediata da computer, le dinamiche relazionali on line inseguono perennemente quelle off line nel tentativo di includerle (e non solo di imitarle….siamo andati avanti!!). Per cui problemi personali e/o distorsioni caratteriali (anche nelle forme più ortodosse e patologiche) ci sono e ci saranno sempre. In questo senso, è ovvio che gli SNS non sono né un medicinale né, tanto meno oggi, un nascondiglio per sociopatici ed instancabili sostenitori delle nobili virtù della Rete. Se Rete e Realtà smetteranno di essere contrapposte e giungeranno ad identificarsi, sarà comunque nella realtà (a quel punto complessa, ma ad ogni modo, strutturata a partire ed attorno (d)alla nostra personalità/fisicità) che dovremo continuare a cercare noi stessi, le soluzioni ai nostri problemi, le fonti per la soddisfazione dei nostri desideri. Personali, relazionali.