La vita di Marta e l’illusione del lavoro per tutti….

Alla mia età è praticamente impossibile non imbattersi in storie di amici, parenti, conoscenti, ex colleghi dell’università. Personaggi più o meno in gamba, ma, pur sempre alla ricerca di un lavoro, di un’occupazione che soddisfi, allo stesso tempo, le esigenze e la voglia di realizzazione personale così, come le speranze nutrite (volente o nolente) dai genitori. Come si dice, “i genitori sono il polmone dell’economia in tempo di crisi”, ma, nessuno si sofferma a riflettere sul peso determinante che ancora molti di loro giocano nella gestione/pianificazione del futuro della propria prole. Un po’ come succede quando una grande multinazionale ne rileva una più piccola e con meno risorse finanziarie. La prima cosa che la dirigenza di quella multinazionale metterà in chiaro sarà che “chi porta i soldi ha l’ultima parola”. E, credo ancora troppo spesso, questo tipo di influenza (diretta e indiretta) si concretizzi all’interno di numerosi nuclei familiari. Certo, non lo sostengo dati alla mano (d’altronde, come è possibile misurare statisticamente il grado di influenza che i genitori esercitano sui propri figli. La statistica incontra un limite evidente nell’analizzare le dinamiche intrapsichiche. I moti dell’anima!). Insomma, parlare ed osservare così tante situazioni di insoddisfazione, più o meno permanenti, mi crea dispiacere e spavento. Vedo intelligenze sottovalutate e sottopagate. Vedo un sistema universitario che sforna centinaia di migliaia di neo-laureati senza preoccuparsi di gestirne l’avviamento consapevole nel mondo del lavoro. A questo proposito, sarebbe interessante sviluppare un filtro come avviene con i flussi migratori. Un meccanismo di gestione delle iscrizioni universitarie basato sul coordinamento con le necessità del mercato del lavoro (premettendo che il mercato del lavoro debba essere adeguatamente riformato perché, così com’è, non può essere capace di auto-regolarsi con criterio e raziocinio). Penso alla crisi di un sistema di istruzione professionale che, nel tempo, ha perso prestigio e figure formative di spessore. Questa forte spinta all’intellettualizzazione, alla necessità di un ricambio continuo della classe dirigente ha fatto completamente perdere di vista il lavoro manuale su cui si è retta la nostra economia per decenni, sin dalla sua nascita (si parla tanto della piccola/media impresa come di un vanto nazionale, ma, il lavoro artigianale a conduzione familiare si sta perdendo giorno dopo giorno anche a causa di un sistema scolastico discriminatorio per natura!). Penso ad un mercato del lavoro che pubblicizza a tamburo battente il lavoro flessibile, il lavoro per tutti. Ovviamente è tutta un’illusione, fuffa allo stato puro. Il lavoro flessibile certamente non è più l’impiego o la professione di un tempo, ma, non ha nemmeno più le sembianze di un vero lavoro. Contratti mensili, trisettimanali. Il lavoro a chiamata, apoteosi del non-lavoro che pretende di imporsi come lavoro comodo. Il tele-lavoro, da casa. Un’attività che per le sembianze che assume sembra qualcosa di molto più vicino ad un hobby che ad una professione capace di renderci indipendenti. Di sottrarci dal giogo dal viso sorridente e benevolo nei nostri genitori. Da cui (e non voglio sputare nel piatto dove mangio..), dovremmo liberarci, meglio prima che poi. Tutti. Per non parlare, poi, delle paghe che sento quando ci si confida tra amici. Pare che una condizione generalizzata, un tempo tipica del lavoro nero, stia diventando una situazione accettata, diffusa. Incoraggiata dagli imprenditori e spalleggiata dal governo attraverso riforme e leggi finanziarie che stanno quasi cancellando il capitolo di spesa relativo alla nostra formazione pre-lavorativa. Poi, ci vengono a dire che i giovani non sono abbastanza tenaci da affrontare un mercato le cui condizioni sono inevitabilmente mutate. Io, al contrario, penso solo che non abbiamo auto abbastanza forza da ribellarci quando, attraverso una serie di riforme, ci hanno prima tolto la formazione, poi, i diritti come futuri lavoratori. Mi dispiace certamente che le cose non siano andate come in Francia o in Olanda. E rifletto una volta di più sulla nostra cultura, sulla nostra incapacità di reazione che non è solo figlia di un mero problema caratteriale. E qualcosa di ben più profondo, parte della nostra stessa Storia. Purtroppo. Il quadro che mi si para davanti e, quindi, estremamente sconfortante. Molti dei miei coetanei si trascinano da un lavoro all’altro. Qualcuno alterna lavoro regolare e lavoro nero per arrotondare. Il più fortunato ha un contratto di apprendistato di tre anni, con tanto di contributi. Cioè, il più astuto ha una prospettiva lavorativa di almeno tre anni. Ma ci rendiamo conto di cosa sono diventate le “condizioni privilegiate”. Il nostro grado di soddisfazione si è fortemente ridimensionato. Le nostre aspettative diminuiscono giorno dopo giorno, contratto dopo contratto. Si arranca, ma, qualcuno non molla. Marta, una ragazza di Padova di cui ho sentito parlare qualche giorno fa, aveva studiato per diventare interprete. Ovviamente le necessità familiari ed un po’ di voglia di affermazione l’avevano spinta ad accettare con un certo entusiasmo un’occupazione all’interno di una azienda agricola. Lavoro rigorosamente in nero, zero contributi. Zero garanzie, tutela sul lavoro. Una paga di circa cinque ero netti/all’ora. Marta, in fin dei conti, aveva 21 anni con tutta la fame e la voglia di avere uno stipendio tutto suo. Esigenze che, è bene dirlo, la ponevano già al di sopra delle aspirazioni medie dei suoi coetanei. Certo, lei avrebbe potuto denunciare (classico discorso da sindacalista dalla pancia piena!). Ma, intanto, i soldi chi glieli avrebbe dati. In quale altro modo avrebbe potuto garantire alla sua famiglia di raggiungere la terza e non la seconda settimana del mese?. Denunciando?.. della serie “quando il buon senso lascia spazio al qualunquismo televisivo”. Insomma, lei accettò questo lavoro nonostante la lontana dalla sua ambizione di interprete, gli orari massacranti, l’assenza di garanzie anche minime. Fatto sta che pochi giorni fa Marta è morta. E’ stata ritrovata sul nastro che trasportava le uova che lei si occupava di confezionare. Le cause sono ancora tutte da chiarire. Ma, una morte del genere assume da subito i contorni di un martirio che si consuma. Non solo quello di Marta, ma, quello di un’intera generazione frustrata dall’assenza di lavoro. Sottovalutata da un sistema formativo per, poi, essere schiacciata dai rapporti di forza interni ad un mercato del lavoro saturo e cinico. Le uova che confezionava, giorno e notte, la povera Marta direi che ci rappresentano piuttosto bene. Guscio molle e sottile, ventre debole, liquido.

Elezioni regionali 2010. Prospettive divergenti: il narrare, lo (stra)fare, il (troppo)pensare....

Queste elezioni sono state davvero una dimostrazione di forza. Ovviamente, e ancora una volta, della destra. Vince la Lega che conserva e, in alcune regioni, accresce il risultato già ottimo ottenuto con le scorse politiche. Il partito, prima costola oggi architrave della destra nazionale. Lo schieramento che, in qualche modo, riempie di contenuti e risposte. Misure che, in molti casi, a livello locale e nazionale, hanno fatto e fanno discutere ma che evidentemente sembrano rispondere ai bisogni, ai desideri nascosti di molti italiani. Specie nel nord, ma in progessiva ascesa anche tra le regioni del centro. L’incontro-scontro tra il Pdl di Berlusconi e il partito (una volta movimento) del “senatur” è piuttosto interessante. Da una parte, il cavaliere riesce a fare due clamorose operazioni narrative:
1) Alimentare un’immagine pubblica di vittima delle ingiustizie degli altri. E nella categoria “altri” ci possiamo mettere un po’ tutti. Toghe rosse, Corte costituzionale, Presidente della Repubblica, giudici, ecc…
2) In relazione alla scadenza delle elezioni regionali, essere riuscito a far passare l’idea che tale scadenza equivalesse soprattutto ad una sorta di prova di “mid term” all’americana. Per cui, spostando l’attenzione su di sé anziché sui candidati scelti per le singole regioni, è stato capace di spingere al voto di conferma un po’ tutti i suoi. Compresi, in modo particolare, gli astenuti potenziali ed i potenziali critici verso l’operato del governo votato la scorsa tornata.

La spinta fortissima alla personalizzazione e la costruzione di una narrazione della serie “l’eroe osteggiato che, alla fine, prevale” ha costituito un mix formidabile per prevalere anche questa volta. Il bavaglio imposto ai mezzi di comunicazione, d’altra parta, ha certamente fatto il suo gioco sia eliminando l’incombenza caratterizzata dalla presenza televisiva di potenziali avversari, che azzerando totalmente l’agenda dei media main stream corrispondente alla parole-chiave del tipo “governo”, “Tarantino”, “Berlusconi” con tutto il carico di scandali e scandaletti. Oscurantismo ed egocentrismo ammantato di narrazioni romantiche, insomma, hanno permesso al centro-destra (anzi, sarebbe proprio il caso di dire alla destra!) di prevalere anche in quest’occasione. D’altra parte, il centro-sinistra, tra spaccature interne, alleanze non volute e non cercate. Infinite fasi di riflessione interna, astensionismo e voto di protesta (vedi il movimento di Grillo, specie in Piemonte) ha fatto per l’ennesima volta la figura della Bella addormentata nel bosco. La politica da profilo sempre basso, costi quel che costi, è costata la vittoria pure sta volta. Una vittoria che, ad ogni modo, sarebbe stata contenuta e risicata visto il dato nazionale sui votanti e le medie relative ad alcune regioni. Alla narrazione del Silvio nazionale, il Pd è capace solo di proporre la figura di Bersani. Ottimo tecnico, uomo di contenuti, abile traghettatore, ma, privo del carisma di un leader. Se pensiamo, poi, che sin dalla sua nascita il PD si è sempre servito di pseudo-leader che erano e sono piuttosto dei leader a progetto, allora, capiamo ancora meglio tutto il senso di questa sconfitta che sarebbe più opportuno definire una riedizione delle ultime politiche, con risultati più contenuti a causa del calo vistoso di elettori affluiti alle urne. L’Italia dei Valori, noto partito “del fare” (specie a livello locale), toglie voti all’ex-Udeur (che raccoglie solo briciole!), al Pd. Insomma, un po’ a tutti e così come alle politiche, ottiene il miglior risultato relativo dell’intero schieramento di sinistra. Si tenga, inoltre, in considerazione la tipologia media di elettore di sinistra e di destra. Il primo, si potrebbe dire purtroppo ancora una volta, si è dimostrato estremamente lucido, riflessivo e, se il caso, anche molto critico. Così si spiega il risultato positivo del movimento di Grillo che, per quanto si proclami fuori dal partitismo nazionale, ha certamente un’impronta di sinistra ed alla sinistra democratica ha tolto una buona fetta dell’elettorato tradizionale. Un elettorato che certamente dimostra di non aver affatto paura di perdere, così come di punire senza mezze misure il partito di riferimento. Astensionismo, voto disgiunto (si veda ancora il Piemonte sul tema) e radicalizzazione del voto hanno certamente punito il PD. Con risultati ottimi dei partituncoli-satelliti o potenziali tali che lo circondano. L’elettore-tipo della destra ha dimostrato, al contrario, una minore lucidità che gli consentisse di giudicare il proprio leader sulla base dei risultati raggiunti. Un elettore pavloviano, che vota di riflesso se ben stimolato. Una stimolazione che, vale la pena ribadirlo, soprattutto emotiva, quasi istintuale. Il leader “vittima da proteggere”, il leader “delle promesse” (che alimentano speranze, e differiscono all’infinito tutte le attese). Il votante medio è, dunque, figura dalle forti connotazioni sentimentali che, d’altra parte, s’impersona direttamente con la figura del cavaliere. Per cui la stima ed un istinto empatico- protettivo si fondono e, nella persona del votante medio, arrivano a confondersi. Ci domanda, a questo punto, la ragione dove sia. Dov’è la razionalità che valuta operati e programmi?...Così ritorna a bomba il senatur della Lega. Colui che è riuscito a spostare voti, non tanto togliendoli alle forze di sinistra, ma, strappandoli letteralmente al Cavaliere del Pdl. E’ nelle regioni in cui la gente che ha sempre votato Pdl ha, ad un certo punto, deciso di radicalizzare la propria posizione (magari per punire l’uno e premiare l’altro) spostandosi sulla Lega che è subentrata finalmente la ragione. Una ragione che ha consentito di valutare programmi, le figure dei candidati, esprimendo posizioni “critiche” nel momento del voto. Così spieghiamo il successo di Zaia, forse un po’ meno quello di Cota in Piemonte. Ma, certamente lo spostamento c’è stato. Ed andrebbe forse interpretato come l’espressione di un sentimento diffuso di malcontento verso il governo nazionale, manifestamente punito a livello locale. Per cui, a partire da questa tornata, entrambi gli schieramenti dovrebbero aprire una lunga fase di riflessione. La destra rinegoziando gli equilibri interni (tenendo conto dell’avanzata della Lega, ma, anche della presenza strategica degli ex-An). La sinistra che, proprio durante la tornata elettorale, sembra aver continuato a riflettere, dovrebbe ripensare ai propri equilibri interni ed esterni. Ma, vale la pena di ribadire anche questo, dovrebbe iniziare i casting per il reclutamento di un leader degni di questo titolo. E poi basta con i profili bassi. Vogliamo politici dinamici e corretti. Determinati, ma, non viscidi. E, ad ogni modo, finalmente capaci di non farsi mettere i piedi in testa ad ogni salotto televisivo in cui si presenti un contraddittorio. Ora basta.