RICETTE DI COSCIENZA PER UNA (NON)GENERAZIONE

E' vero. Ad Urbino si è anche parlato di generazioni. Movimenti e generazioni. Ne ha parlato Ilvo Diamanti, direi bene, con diplomazia da accademico. Mi è piaciuto. Mi hanno molto interessato le ricostruzioni, biografiche e non, delle generazioni che ci hanno anticipato, precorrendo, in parte, molte delle esperienze che riteniamo ingenuamente attuali, uniche. Dalla generazione delle due guerre, ai rivoltosi sessantottini, croce e delizia per le generazioni a venire. Mi è piaciuta la disamina. Puntuale e severa. Soprattutto nella descrizione del panorama attuale, del suo punto di vista sulla nostra generazione (a cavallo tra la x e la y per intenderci). Precarietà, incertezza. Queste le parole d'ordine, le uniche trovate ed adatte a descrivere ciò che sembriamo visti da fuori, al di là delle differenze che ci rendono, in ogni modo ed al di là del tempo, unici. Se devo essere onesto, mi sono meno piaciute le domande che sono state indirizzate all'emerito Diamanti. Ma..voi avevate coscienza di essere un movimento, nel 68'?...Vi eravate posti un obiettivo?Sapevate dove andare? Cos'è che vi aggregava? Come avete fatto, nel 68'?..Ma stiamo scherzando..Come se Diamanti dovesse tirar fuori dalle tasche la ricetta per la costruzione di un buon movimento, duraturo ed inattaccabile. E, poi, basta con questi raffronti col 1968. Le coscienze erano diverse, l'esasperazione al limite, il benessere diffuso ai minimi. C'erano altri genitori, un'altra chiesa e, soprattutto, un'altra università, un'altra scuola, un'altra educazione. Oggi non siamo nemmeno educati al movimento, al gruppo, al partito, ai dirigenti, ai tesserati. Forse quelle cose sarebbero inattuali ed inattuabili, oggi. Ma sono state quelle infrastrutture della società a formare coscienze davvero critiche ed una grossa e forte coscienza d'insieme, di classe, di movimento. Oggi ci manca, tra le tante, la base, la materia prima: la consapevolezza di appartenere stabilmente a qualcosa. Alla generazione, al gruppo, alla famiglia, quindi, al movimento. Ci muoviamo come se trasponessimo la nostra vita online in dinamiche reali, relazionali. Siamo "border line" tra l'on line e l'off line. Ci aggreghiamo più o meno intensamente attorno a gruppi tematici ( il gruppo anti-Gelmini e, ancora prima, il gruppo anti-Moratti, anno zero dell' "Onda studentesca") più o meno stabili. Poi, dopo un , quando le ragioni storiche, sociali, commerciali rendono le ragioni di quel gruppo inattuali,scarsamente innovative e poco rivoluzionarie. Allora ecco che il gruppo si sfalda, le ragioni vengono meno, l'emotività lascia il posto alla ragione...E da lì, si cercano altri gruppi, se ne vivono di più contemporaneamente..Si fa molta vita di relazione, oggi..Ma molta vita di relazione significa poca stabilità relazionale,oggi..Per cui, a mio modo di vedere, avremmo dovuto imparare ad essere prima una generazione che, per quanto instabile ed individualista, ha delle tragicità aggreganti. Poi, dopo e con coscienza, avremmo potuto cercare all'esterno (nell'università, nella società) spazio e tempo per farci sentire, per chiedere anche sostegno alle nostre cause. A cause, battaglie autenticamente nostre. Non quando ci pare o, peggio, quando lo impone l'agenda di altri,lontani incoscienti nel senso letterale del termine.
Chiedere le ricette a Diamanti per reversibilizzare un paradosso oramai conclamato mi sembra un paradosso nel paradosso o, se vi piace di più, una grande idiozia.

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