Una realtà è possibile (forse!).....

Sarà perché mi è sempre stato insegnato che la mediazione per raggiungere un compromesso dovrebbe rappresentare un obiettivo desiderabile in una discussione, in uno scontro più o meno acceso con un collega piuttosto che con un qualunque passante, per strada. Si sa come vanno queste cose, di solito. Quando sei piccolo ti scontri (e ti scotti) con la realtà del tuo comportamento ancora grezzo, privo di diplomazia. Le prime grandi delusioni, i primi scontri che rompono definitivamente amori ed amicizie. Così, nel giro di poco tempo ti ritrovi a fare i conti con la solitudine, la frustrazione, la scarsa capacità di farsi capire, comprendere. E pensi sia tutta colpa di chi ti sta intorno. Sbagliato anche questo. Ognuno è, in un modo o nell’altro, il prodotto degli stimoli e delle esperienze di vita che lo attraversano e che non proprio sempre desideriamo e/o possiamo controllare. Le strade che si prospettano di fronte a noi, a seguito del parziale fallimento prodotto dal nostro comportamento, sono due: radicalizzare quel comportamento grezzo, duro e severo verso gli altri e verso se stessi, oppure, decidere di dare un taglio col passato ed incominciare a considerare gli altri (e se stessi) con maggiore serietà e dignità. Ecco, oggi penso (e sono assolutamente convinto) che si stia assistendo ad un vero e proprio regresso in questo senso. E certamente non bisogna essere degli acuti osservatori (o dei ricercatori) per accorgersene. Lo noto nella mia quotidianità, nel comportamento delle persone che mi circondano più o meno casualmente. Lo noto nel tono dei dibattiti politici che ritrovano una puntuale eco tra giornali, tg e programmi di approfondimento. C’è sempre, in ognuno di questi contesti di vita, un enorme semplificazione dei termini del dialogo ed ampio spazio è lasciato allo scontro, all’accavallamento di voci, all’aggressione quasi fisica. Sembriamo bambini impacciati che, per farsi notare dagli altri, piangono e battono i piedi per terra quasi disperatamente. Questa stessa disperazione la vedo negli occhi e nei comportamenti di politici e presentatori tv. La ricerca quasi spasmodica e masochistica della violenza. Violenza di linguaggio, di oggetti di consumo, di comportamento, dei simboli. E la cosa più orribile di tutto questo e che respirare continuamente questo clima saturo di cattiveria, di scontro senza limiti ha sporcato non solo il dibattito pubblico, ma, anche l’anima (e la coscienza) di tutti coloro che vi assistono, vi vivono e vi prendono parte. Non potrò mai togliermi di dosso l’odore (meglio, la puzza) degli scontri tra i miei genitori poco prima che si separassero. Erano giornate, settimane, mesi in cui inalare costantemente stress, tensione nell’aria ti portava ad alienarti quasi completamente dal resto del mondo, svuotandoti di tutto ed agendo dall’interno. La violenza ti penetra e ti ripulisce di qualsiasi tratto di vivacità. Se pensiamo di poter adottare anche per l’analisi dei comportamenti sociali questa metafora biologica, allora, siamo capaci di fare un piccolo passo in avanti nella conoscenza di quello che sta succedendo attorno a noi spettatori passivi di questo sfascio. La polarizzazione estrema delle idee domina i salotti televisivi. Stragi, abusi, accessi indiscriminati alla vita personale di personaggi balzati all’attenzione pubblica come “mostro”, “terribile orco”, o, al contraio, “eroe”, “simbolo”, “icona”. Ma cosa si intende dire quando si usano con una straordinaria frequenza termini di questo tipo? Non si pratica una violenza semantica che confonde tutti e, anzi, punta sulla confusione per rimestare le acque e, nel frattempo, alimentare gli interessi di qualche magnate delle comunicazioni. Il quale ha ben compreso che sviluppando un meccanismo su grande scala per la produzione sistematica di oggetti culturali (testi, storie, notizie giornalistiche, ecc..) violenti e destinati ad una fruizione passiva di massa non fa altro che velocizzare quel processo che svuota il pubblico della anche minima voglia di reagire col pensiero razionale agli abusi che vengono giornalmente perpetrati a danno della sua mente. Non ce ne stiamo ancora accorgendo, ma, tutto questo ci sta uccidendo da dentro. Ci stanca, e sfibrandoci si impossessa di noi, ottenendo un’approvazione assolutamente priva di ostacoli. Un vero e proprio investimento sull’assuefazione di massa attraverso l’abominio delle comunicazioni. Un investimento con pochi rischi e strutturato sulla diffusione virale di rabbia, dialettiche accese che confondono i campi istituzionali e, con essi, la mente delle persone. Lo stordimento che anticipa la morte. Detto ciò, voglio esprimere il mio odio più profondo e maturo verso i continui attacchi all’intelligenza delle persone portati avanti da un sistema di cose (media, politici, comunicazioni di massa) che non ha mai smesso di considerare l’essere umano niente più e niente di meno come una risorsa strategica. Insomma, poco più di quello che rappresenta un pieno di diesel per un autovettura. Carburante che, una volta consumato, permette al sistema di muoversi e, così, di restare in vita. Dunque, sono stanco di fare da carburante a qualcuno. O anche solo di essere considerato così. D’altra parte, auspico che questa condizione di malcontento giunga ad un livello di devastazione delle coscienze tale da riuscire ad alimentare la diffusione di una comune necessità di cambiamento. Ma, dall’altr parte, penso che il livello di addormentamento sia tale che ci vorrà probabilmente ben altro (e di peggio) per risvegliare le famose “coscienze sopite”. In fine, quest’approccio violento all’esistenza, prima che ci conduca ad una crisi di nervi, dovrà essere immediatamente rimpiazzato dalla ricostruzione dei termini del dibattito. Pubblico e privato. Il che sarà impossibile da realizzare finchè avremo di fronte, sul palco e nello schermo, le stesse inutili persone che hanno tentato di ridimensionarci. Bah, l’unica cosa che viene da pensare è molto vicina alla rivoluzione. Anzi, rileggendomi sembro una specie di rivoluzionario neo-comunista post-democratico. In realtà, ho fatto riferimento esclusivamente alla mia anima, ai miei pensieri. Perché penso che qualcuno prima di me sia vissuto in una società che, in qualche modo, era migliore, più sana. E, in ultima analisi, perché credo ancora nel potere e nell’inevitabilità dei principi universali che regolano il vivere quotidiano (la libertà di parola ed espressione, il diritto alla privacy, l’autonomia degli organi istituzionali, il rispetto e la concordia tra le persone, ecc…). Principi che ritengo ancora più importanti di maggioranze ed opposizioni, colori politici, alleanze politiche ed orgie partitiche, destra e sinistra. Smettiamola di desiderare con un’ansia che non riusciamo nemmeno più a spiegarci che ci investa un’altra Avetrana, plastici di case e garage, giudizi affrettati e scandali. Usciamo da una dimensione della realtà per sviluppare finalmente uno sguardo che abbracci e comprenda tutto il resto. Facciamolo in modo sereno, ragionato, profondo.

Nessun commento: