Internet e democrazia: vox dei, vox populi.....

Alla luce del dibattito più recente (non solo accademico) relativo al complesso rapporto tra internet e democrazia, sento l’esigenza di mettere nero su bianco alcune personali riflessioni che, credo, possano contribuire a definire i contorni, ad oggi ancora troppo sfumati, di un tema sociale così attuale e delicato. Innanzitutto, è evidente che la relazione internet/democrazia venga descritta in modo diverso a seconda della prospettiva da cui viene osservata. Ciò può rappresentare, allo stesso tempo, un bene e un male. Un bene perché in questo modo è possibile arricchire con numerose riflessioni differenti (magari anche complementari tra loro) un dibattito tutt’altro che chiuso. Dall’altra, ciò può costituire un male: 1) nel momento in cui discutere della relazione tra internet e democrazia diviene un modo per dare tocco di (post)modernità all’operato della propria amministrazione (giunta, consiglio, organo di governo) più o meno liberal o, peggio, quando tale discussione diventa immediatamente una rassegna degli errori, delle gaffe, delle esperienze più o meno personali ma dai risvolti tragicomici della serie “sapete quanti contatti abbiamo avuto nella pagina semi-ufficiale del sindaco tal dei tali…??? (suspance nel pubblico tirata fino all’estremo)”, oppure, “abbiamo capito la reale importanza della Rete quando il consulente x ci ha illuminati sulle capacità miracolose del web 2.0..”; 2) quando non si ignora deliberatamente l’esistenza di una produzione/riflessione accademica su quei temi. Riflessione che, essendo apolitica per definizione (a volte solo per definizione!). ovvero, scevra dall’obbligo di soddisfare il committente di turno, potrebbe aiutarci ad analizzare con maggiore trasparenza e profondità i contorni dell’oggetto d’analisi. Per chiarire le idee sul tema, a me stesso prima che a chiunque altro, credo sia necessario gettare le basi della discussione, prima di tutto, attorno all’oggettivazione di tre distinti ambiti di riflessione che non pretendono di esaurire la discussione e nemmeno di essere pienamente dotati di senso (sottolineare la perfettibilità del ragionamento non serve solo ad avere un minimo di difese immunitarie, ma, costituisce un obbligo in questo momento storico). Dunque, quando si parla del rapporto tra internet e democrazia, un primo livello di confusione sopraggiunge nel momento in cui si tendono a mescolare elementi provenienti da ambiti di discussione che si farebbe meglio a considerare separati, ovvero: 1) La Politica della Rete, ovvero, tutto ciò che riguarda: - le opzioni strategiche legate ai processi di gestione dell’hardware e del software da parte di governi, gruppi di pressione (di natura politica) e/o attori politici nazionali/internazionali; - la realizzazione di nuove alleanze tra governi, tra governi e comunità locali, tra (aggregati di) lobby e (aggregati di) governi, tra start-up tecnologiche e governi a partire dalla sottoscrizione di accordi per l’adozione di linee di condotta condivise in merito alla gestione di Internet inteso come (combinazione di) spazio, relazioni e contenuti; 2) La Politica in Rete che, da una parte, coincide (o, per lo meno, dovrebbe) con un atteggiamento (mentale, non formale!) di apertura verso la necessità/sfida di attribuire nuovo senso all’espressione “partecipazione politica” senza cadere nella trappola tesa dalla semantica pre-digitale e, dall’altra, con l’identificazione delle piattaforme on line in cui essa si materializza come di semplici “ambienti abilitanti”. Espressione quest’ultima che manifesta la volontà di privilegiare l’osservazione della relazione nuda e cruda tra proprietà tecniche e scenari possibili piuttosto che l’adozione di un determinismo tecnologico che fa bene ad amministratori pubblici e giornalisti aristofreak, ma, non certo alla riflessione scientifica. 3) “Politica con la Rete”, ovvero, l’incarnazione di una prospettiva strumentale all’uso delle nuove tecnologie intese come casse di risonanza di contenuti elaborati, il più delle volte, in occasione di scadenze elettorali e/o a fini auto-promozionali. Sempre secondo un gergo ed una semantica politica di tipo pre-digitale. Tale espressione, nella pratica rappresentata dalle esperienze politiche nostrane, oggettiva una fase intermedia nell’uso delle tecnologie di rete. Fase dalla quale molti (politici, soggetti dell’informazione, accadamici) credono di essersi più o meno definitivamente smarcati anche se, di fatto, non è così. Qui torna a bomba il discorso/problema sui punti di osservazione. Ciò che per un politico può rappresentare una best practice per il semplice cittadino è solo un modo per contenere il potenziale rivoluzionario di una cittadinanza stanca e/o di un popolo largamente disaffezionato alla politica. Il problema qui non è tanto la presenza di punti d’osservazione differenziati quanto il fatto che una certa dirigenza politica ed economica (antropocentrica e filo-occidentale) cerca con grande dispendio di energie di imporre la propria visione relativa a ciò che è o non è partecipazione politica intesa come “politica in Rete” e ciò che è (o non è) espressione di un modo nuovo di intendere (e di praticare) la democrazia rappresentativa ai tempi di internet. Tornando al punto di partenza, penso che un secondo livello di confusione relativo al rapporto tra internet e politica avvenga tra due termini che continuano ad essere intesi come logicamente consequenziali e che, più in generale, rallentano il cammino dell’analisi scientifica verso la definizione di che cos’è e che forme assume la partecipazione politica in Rete. I termini oggetto d’accusa (e dell’ennesima mistificazione) sono organizzazione e partecipazione. Ciò perché spesso vengono tirati in ballo grandi e piccoli esempi di organizzazione on line di stampo politico come se fossero l’inconfutabile prova dell’affermazione di un nuovo modo di intendere la partecipazione politica. Più che altro, però, questi mi sembrano essere esempi di come la politica (la più scaltra, non la più moderna!) piega gli strumenti tecnologici in vista del raggiungimento dei propri scopi (definiti fuori della Rete, processati in Rete, osservati e misurati di nuovo fuori dalla Rete). Inoltre, l’organizzazione on line di attori collettivi (anche di stampo politico) manca quantomeno di due elementi tipici della partecipazione politica: 1)la costruzione di un percorso, 2) la presenza di un individualismo orientato alla cooperazione e, soprattutto, alla pro-azione con livelli variabili di creatività. Può rappresentare un nodo contraddittorio il fatto che abbia in mente una definizione di partecipazione politica mutuata dalla letteratura esistente quando cero di definire ciò che si sta dispiegando sotto i nostri occhi. E, per questo, sono sicuro di non dire nulla di esauriente o di nuovo né, tanto meno, di definitivo (ci mancherebbe!). Mi sto solo sforzando di inquadrare ciò che osservo secondo l’unico metodo compatibile con le mie (personali) definizioni di etica e di morale: un realismo critico che non si lasci incantare dalle sirene dell’idealismo o del pragmatismo.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Polemico, come sempre..