La caduta del nano e la fine di un sog(n)no....

Onestamente faccio fatica a comprendere la ratio di alcuni atteggiamenti che si sono materializzati nel paese all’alba delle dimissioni (indotte o meno) che hanno segnato la fine dell’ennesima parabola di Berlusconi. Partiamo dalle immagini di gioia per le strade di Roma. Posso sentirmi vicino solo a quanti abbiano voluto esprimere con quel gesto un momento breve e vissuto con un velo di tristezza, ma, anche di gioia per la caduta di un governo che fino ad oggi, facendo da tappo, ha impedito di iniziare a sviluppare soluzioni concrete per uscire dalla crisi e ridare una credibilità internazionale al nostro paese. Ai lanciatori di monetine della prima ora dico che non hanno capito veramente niente degli eventi che si sono succeduti negli ultimi giorni. La crisi e il passaggio nelle retrovie di questo governo non sono il risultato di una battuta d’arresto consumatasi all’interno del nostro paese. Di fatto, questa non è stata una crisi di consenso o di credibilità interna nei confronti di Berlusconi. Niente elezioni anticipate, niente cambiamento di rotta voluto dagli italiani ed espresso mediante il voto. Il modo che ha determinato la fine di questo governo rende B. quasi una vittima nelle mani del carnefice rappresentato dall’Unione Europea e da quella famiglia plutocratica di banchieri ed uomini d’affari prestati alla politica. E, ancora una volta, la cosa sembra avere dei risvolti positivi a favore di quell’uomo che, più o meno ininterrottamente, ha dominato la scena politica italiana per circa 17 anni. Si, perché ora egli avrà la possibilità di mostrarsi all’opinione pubblica come colui che ha fatto di tutto per sfuggire alle grinfie dei cattivoni della Banca Centrale Europea o del Fondo Monetario Internazionale. Come il salvatore della patria che, alla fine e dopo numerosi tentativi, si è visto costretto a cedere le redini di un paese per garantirne la salvezza. Un capre espiatorio degno di un racconto biblico. Il capre che, fino al discorso lanciato ieri sera a reti unificate, si è giocato a spron battuto due formidabili carte: da una parte, quella dell’anti-europeismo sfrenato e ortodosso per cui tutto il male viene dall’esterno e noi, con le nostre forze ed un debito pubblico a rischio, che abbiamo potuto solo tentare di resistere a pressioni, ingiurie, calunnie e sberleffi. Dall’altra, la linea ascrivibile al paradigma del “lascia o raddoppia” per cui se tutti credevamo che B. approfittasse della “congiura/congiuntura internazionale” per uscire di scena, egli ci stupisce ancora una volta annunciando un intensificazione degli sforzi politici per ridare lustro e autorevolezza al paese e ai suoi conti pubblici.
La successione così rapida degli eventi ha contribuito ad alimentare argomentazioni deboli e, in alcuni casi, facilmente falsificabili. Così come reazioni emotive e prese di posizione incomprensibili (tra cui inserisco, ad esempio, quella del PD in favore di un governo tecnico piuttosto che per le elezioni anticipate). In questo marasma, credo che il quadro più autentico della situazione emerga dall’analisi delle parole pronunciate da B. nel suo video-discorso. Che è, allo stesso tempo, un tuffo nostalgico nel passato ed una nuova dichiarazione di guerra. Verso i nemici interni ed esterni al partito così come alla nazione. Inoltr, non va trascurato il fatto che il governo Monti non è il frutto di consultazioni inter-istituzionali consumatesi dopo lo scioglimento del precedente governo, ma è, piuttosto, un gruppo di accademici semi-sconosciuti e tenuti al guinzaglio sia dall’Unione Europea che da B. A questo punto, dunque, si capisce come ci sia veramente poco da festeggiare in questo momento. Nessuno è morto, sparito o è stato dichiarato sconfitto da un verdetto politico incontrovertibile. Sugli eventi che si sono succeduti, B. può ancora sviluppare una sua visione delle cose. E, mentre il governo tecnocratico fa le cose, lui potrebbe cercare di imporre quella visione al suo pubblico e ai suoi alleati. Una visione che, alla fine, potrebbe permettergli di recuperare credito, credibilità e sostegni giusto in tempo per la prossima tornata elettorale. Il messaggio lanciato durante il convegno de LaDestra di Storace è emblematico da questo punto di vista. Dunque, non è finito proprio un bel niente. Anzi, pare che anche l’opposizione abbia come paura di un vuoto dopo la fine del berlusconismo. E, così, invece di assumersi la responsabilità di riportare il diritto di parola nelle mani e nelle matite degli italiani, essa si è fatta carico dell’ennesima manovra di “sostegno responsabile” ad un governo, ad una parte politica che, ascoltando la propria base sociale di riferimento, avrebbe dovuto osteggiare con tutte le sue forze. E, come scritto prima, ci si protegge dietro l’alibi vergognoso e insensato dell’atto di responsabilità per il bene del paese. Quando, in tempi normali, di questo paese non fotte niente a nessuno. E la riprova di ciò sta nel fatto che abbiamo dovuto aspettare la costituzione di un fronte internazionale accanito contro di noi ed il nostro governo per capire che andavano fatte delle riforme economico-finanziarie coraggiose e che la loro realizzazione implicava un cambio di rotta anche all’interno delle istituzioni di governo. Ciò, d’altra parte, non può non farmi pensare al fatto che non siamo stati capaci di contrastare questo governo dall’interno. Con una rivoluzione interna alla società civile, ai partiti d’opposizione. Ancora una volta, come la storia patria c’insegna, siamo stati liberati da un agente esterno, da una coincidenza di eventi che sono andati al di sopra e al di là di noi. E che, alla fine, ci hanno schiacciato, ci hanno sopraffatto. Niente alternanza di governo, niente bipolarismo perfetto (mi sarebbe andato bene anche lievemente imperfetto), niente voto, niente democrazia rappresentativa. Siamo stati costretti al cambiamento da una serie di atti di forza perpetrati dall’esterno e dall’alto. Tuttavia si sa che, come la storia dei popoli insegna, una forza in grado d’innescare un cambiamento non può essere rappresentata da chi si trova al governo e manovra un popolo. L’estabilishment non può chiedere novità o mutamenti radicali perché questi presuppongono la realizzazione di una rivoluzione sociale fondata sulla volontà (necessità) di spazzar via quello stesso assetto di potere. Qui sembra ci si stiano ridefinendo gli assetti, i rapporti di forza. Ma si tratta di un cambiamento interno alla solita famigliola di potentati in cui spiccano Finanza, Mercati, Istituzioni e Banche (non dico politica perché in essa vi rientrano anche partiti, membri ed elettori che in questo caso, com’è evidente, sono tagliati fuori dal processo).
Questa ibridazione di campi (politica ed economia, andamento dei mercati e credibilità dei governi) dunque, ha mostrato e sta portando alla luce tutto il suo potenziale cancerogeno per la politica e il governo delle democrazie Occidentali. Potenziale di cui ancora non prendiamo atto perché siamo troppo impegnati a capire quale sarà la squadra di governo del professor Monti (uomo di finanza, cervello fuggito all’estero e, dunque, apprezzato dal consesso dei leader europei).
Ad ogni modo, indipendentemente da ciò, io credo che oggi si stia consumando una sconfitta profonda e multipla:
•del governo nazionale (per dichiarata incapacità di affrontare la crisi se non aumentando le tasse e limitando la spesa anche per manovre di riforma);
•del presidente del consiglio a causa di una perdita di credibilità che gli ha impedito di rassicurare i mercati e i politici del resto del mondo;
•delle opposizioni al governo perché assolutamente incapaci di reagire ad un momento di crisi della maggioranza spingendo per il voto anticipato e cogliendo l’occasione per la promozione di un’agenda fatta di impegni, manovre, soluzioni per uscire dalla crisi e restituire fiducia ad un paese depresso e frustrato;
•degli organi politici sovranazionali perché letteralmente schiavi dell’andamento dei mercati, dei titoli di Stato, degli indici finanziari (“la politica dello spread”)

Si badi bene, però, la mia critica verso l’Unione Europea è strutturale ed è, in modo particolare, il frutto della profonda amarezza per ciò che quest’organismo sarebbe potuto essere ma che, alla fine, non è stato. Esso non c’entra niente, dunque, con l’atteggiamento anti-europeista adottato a corrente alternata da Berlusconi e dal suo governo uscente. Comportamento che se, da una parte, è il segnale di un’incoerenza ai limiti della schizofrenia, dall’altra, lascia emergere la crisi definitiva di una speranza. Speranza in un cambio di paradigma della politica. Speranza in un governo internazionale in grado di dare una direzione e una testa alla Globalizzazione spinta dell’economia e dei mercati.

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