IL TEMPO MI FA MALE ALLE OSSA E AL CUORE....

Sto posto (che, detto per inciso, sarebbe Urbino) non solo quando nevica, ti mette un’ansia devastante. Oggi mi sono praticamente occupato solo della casa, dell’ordine, dell’auto. Il vicino mi ha letteralmente tirato fuori da questo muro di ghiaccio formatosi durante la notte e cementatosi con la neve del mattino. L’ordine. Ma quanto tempo della mia vita avrò già speso per fare ordine tra le cose che ho, che ho avuto, che vorrei. Tanto, tantissimo tempo rubato all’invenzione di qualcosa di nuovo, di radicalmente nuovo per me, nella mia vita. Allora ti rispondi che è tutta una questione di equilibrio. Non npe sei totalmente certo, quindi chiedi consiglio ad una persona amica che ti risponde che è tutta una fottuta questione di equilibrio. Ma, poi, penso. Se è tutta una questione di equilibrio tra elementi, variabili, questo approccio alla soluzione del problema non è, allo stesso tempo, l’espressione diversamente articolata della sua stessa causa. Per intenderci, il cazzo di equilibrio tra le cose non è, alla fine ma poi non tanto, solo un altro modo di programma le cose, archiviarle. Metterle di nuovo in fila, ma con una nuova etichetta?...Siamo al punto di partenza. Come si sconfigge la tendenza all’ordine nella testa di un ragazzo datato un quarto di secolo, proveniente dal sud e, per di più, da una famiglia che col suo lento disgregarsi non ha fatto altro che insegnargli a tenere tutte le cose unite. Le parti del corpo, con l’alimentazione. Le parti del cervello, senza fare uso di alcool o droghe. Le parti della mente con lo studio assennato e l’osservazione permanente di modelli virtuosi di comportamento. E così anche con tutte le parti che compongono la mia vita. Ovvero, i pezzi, le propaggini, i prolungamenti della mia insicurezza, della mia debolezza che si nasconde dietro un dito. Vestiti più o meno puliti e ordinasti per colore (non sono ancora arrivato a graduarli sulle sfumature di colore, spero di non arrivarci mai). La macchinina parcheggiata sempre in vista e ben pulita. Pulsioni maniacali alla pulizia di cui mi pento immediatamente come se fossi un ladro. Pulire nel cuore della notte. Fare tardi a un appuntamento (d’amicizia, d’amore, di lavoro) perché ci si è soffermati a pulire la tazza del cesso che mostrava puntini neri sul bordo e opacità al centro mai notate fino alla pisciatine notturna della giorno prima. Pulsioni irrefrenabili di cui riesco anche a ricostruire l’origine, di cui, alla fine, riesco a fornire anche un identikit completo. Con tanto di complessi edipici, traumi infantili, mancanze d’affetto, ossessioni e pulsioni. E ci mancherebbe altro. Sono o non sono un tipo fottutamente ordinato. Peggio di un marine a cui abbiamo insegnato a lucidarsi ogni mattina persino il buco del culo a comando.

Poi pensavo anche a sto posto e l’amore. Non ho quasi più niente da scoprire sulle possibilità di innamoramento che ti concede un posto del genere. Essì. Perché da un po’ di tempo a questa parte la sto buttando sul discorso del fattore ambientale. Silvio vive dentro di me e me ne sto accorgendo solo ora. Ad ogni modo, cerco da un pò ti tempo di rifugiarmi dando la colpa o a quello che l’ambiente mi propone o a quello che vorrei ma che questo maledettissimo ambiente non è in grado di darmi. Se fossero vere queste condizioni dovrei ammettere: che io non sono fatto per determinati tipi di posti per cui, dopo un determinato periodo di sopravvivenza, sono costretto a darmela a gambe elevate. O, in alternativa, che o dei bisogni amorosi, delle necessità sentimentali che questo posto davvero non sembra essere in grado di esaudire. Sulla prima posso anche essere d’accordo, con un buon grado di serenità. Se, invece, fosse vera la seconda dovrei preoccuparmi. Se, poi, la prima e la seconda ipotesi fossero in qualche modo collegate allora si che dovrei ritenermi con un piede nella merda visto il tempo che mi resta da vivere quì e la mia non più giovine età. Risultato? Mi sento un bambino con scarsissime capacità relazionali, quasi sempre insoddisfatto. Alla ricerca di nuove conoscenze ma, nei fatti, poco aperto al confronto con esperienze davvero nuove. Insomma. Lascio passare le giornate, le settimane coprendomi dietro una routine quotidiana che mi affanna ma non mi spegne. Mi coinvolge ma non mi seduce mai del tutto. Così come per le amicizie che “questo posto” mi sta regalando. Contenitori senza peso, barattoli sparsi senza etichetta ma con una data di scadenza enorme, scritta a caratteri cubitali e bel leggibile anche per un miope di “vecchia data” (appunto) come me. E, intanto, le persone che hanno condito davvero la mia vita insaporendola sono via, fuori da qui. In un altro mondo. Magari staranno fronteggiando scelte difficili, grandi delusioni, nuovi sentimenti, emozioni inaspettate. A volte mi immagino di essere al loro fianco. Sai, un po’ come quando sei il primo che abbraccia l’amico che hanno appena proclamato col massimo dei voti In quell’abbraccio ubriacante e vigoroso ci si scambiano energie, c’è vigore. C’è una enorme voglia di vivere. Ma c’è anche passione, affetto, debito reciproco. Perché, prima di essere avvolto da quell’abbraccio, sei stato (anche se in una frazione di secondo) scelto, selezionato in quella moltitudine di persone accorse per celebrarti. Ecco, io è da un po’ che non mi sento più l’oggetto di quella bellissima scelta. Non mi sento più importante per nessuno che sia davvero importante per me. E la cosa, oltre a non piacermi, mi fa stare davvero male…

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